Recensione lunga

Dreamgirls è imbarazzante. È vero che sono andato a vederlo un po’ sprovvedutamente, pensando fosse una biografia delle Supremes, costruita un po’ alla “Ray”. Ci sarebbe stata buona musica, un po’ di drammatizzazione hollywoodiana, una roba leggera per passre due ore e sapere di cosa si sarebbe parlato la sera degli oscar. Invece è una fiction con molte ispirazioni riconoscibili.

È stato tremendo. Credo che si sia trattato del momento della mia vita in cui sono stato più prossimo all’antiamericanismo ideologico. Solo un banale meccanismo di compiaciuta e paternalistica indulgenza verso le minoranze (“come-siamo-openminded-diamo-dei-premi-a-un-film-di-negri”) può spiegare le nomination agli Oscar e i pronostici a suo favore.

Insomma. Dreamgirls è un musical. Per una mezz’ora sembra di no, sembra che cantino solo perché nella storia le protagoniste cantano. Poi cominciano a cantare come dei deficienti anche quando si devono dire delle cose. Voi direte: beh, è il concetto del musical. Vero, ma il concetto tradizionale del musical è superato, anacronistico e ridicolo, nel 2007. Se vuoi ancora fare un musical al cinema. devi inventarti qualcosa, come fece Moulin Rouge. Se fai una cosa costruita come West Side Story e al cui confronto Saranno famosi pare un prodigio di sovversione formale, fai ridere. E infatti la gente rideva, al cinema, mentre questi disgraziati si cantavano l’un l’altro “siamo una famiglia, come un albero che protende i suoi rami”. Roba che Whitney Houston e la Guardia del corpo sono Pasolini, in confronto.

Quanto alla musica (tutta originale, dannazione), all’inizio c’è del soul e il primo pezzo di Eddie Murphy è fantastico: poi diventa melassa inascoltabile.

Si salvano degli starordinari costumi, scenografie e coreografie. Dategli quegli Oscar lì

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