Il delitto del’immigrata in Val d’Aosta

Riprendo questo dal Foglio di l’altroieri:

“La volta che Veltroni mandò un messaggio commosso alla comunità filippina, peccato però che l’eroica babysitter morta per i bambini era honduregna, è il capolavoro degli scivoloni cui può condurre la correttezza politica, che nasconde sempre una punta inconsapevole di razzismo vero: la tata è sempre filippina. Ma il caso di Vanessa Russo, ragazza uccisa nella metropolitana di Roma, riporta bruscamente l’orrore dello stereotipo dall’altra parte del pendolo. “La rumena”, le “rumene”. Basta l’indicazione geografica e, da violenza metropolitana, il delitto diventa subito faccenda etnica, emergenza razziale. I giornali non soltanto titolano “Omicidio volontario per la rumena”, ma addirittura, nei trafiletti, il complice diventa “l’argentino che le ospitava”. Velocemente, dal titolo si trapassa al subbuglio sociale: ieri è toccato a Piero Marrazzo, presidente del Lazio, incassare non si sa bene perché i “vergognatevi”, gli “assassini”, gli “ecco i servizi che ci date”. O meglio lo si sa benissimo, il perché, e sarebbe ingenuo negare che esista un problema perlomeno di “delitto percepito”, come per l’effetto serra e la recessione. Però della strage di Erba non si è mai detto “i massacratori comaschi”; però non si è mai scritto della Franzoni “l’immigrata in Val d’Aosta”. Provassimo a scrivere: ucciso da un crotonese, stuprata da un forlivese (e i casi ci sono, eccome se ce ne sono). Invece uno dei titoli più belli è del Tempo: “Vanessa uccisa dalla straniera per futili motivi”. È quello “straniera” lasciato lì, inevaso, il succo di tutto. La sindrome etnica preesiste al fatto criminoso: Repubblica, nelle prime immagini della videosorveglianza, vede una donna bruna, che sembra “una sudamericana”. E perché non “una mediterranea”? L’effetto spiazzante svelerebbe la dubbia fondatezza della percezione etnica del crimine. Il rapporto Eures-Ansa del 2005 sugli omicidi volontari in Italia segnala che quelli compiuti da italiani sono il 72 per cento, mentre la quota stranieri è al 27 per cento. Ma si fa presto a confondere la cronaca nera con l’emergenza sociale, e peggio l’ordine pubblico con la paura dello straniero, xenofobia si dice. Il vizio linguistico diventa vizio sociale e poi vizietto politico (Borghezio che accusa il governo per non aver fermato i rumeni nell’Unione europea e D’Alema per cui “la rumena è entrata per colpa della Bossi-Fini” sono l’anello più basso di una preoccupante catena involutiva). Da qui la modesta proposta di affibbiare, almeno nell’occhiello, almeno nel sommario, la specifica toponomastica al reprobo, all’assassino, all’ombrellante di turno. Una specie di doc, una denominazione d’origine criminale. Grazie a cui finalmente, oltre ai San Marzano, avremo pure i killer dell’Agro Sarnese-Nocerino e l’effervescente sgozzatore di Valdobbiadene. la ferocia del delitto tornerà a essere semplicemente umana, tratto comune della specie. Senza frontiere”

Il Foglio

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