Centomila per Shinystat

Un vecchio pallino di molti giornalisti, sbugiardare le pompose cifre delle manifestazioni di piazza, è oggi affrontato scientificamente da Filippo Ceccarelli su Repubblica:

“Chi vuol essere milionario basta che ne annunci in piazza almeno mezzo milione. Perché di lì a poco, nell’immancabile tripudio della folla-record, il raddoppio verrà evocato come l’abbagliante entità che unifica, ordina, stupisce e si rispecchia in se stessa. E infatti: «Siamo un milione!» si è sentito gridare sabato scorso dal palco di San Giovanni alla manifestazione della sinistra radicale.

Ed è anche vero che questo è un tempo di naturale enfasi e macroscopiche bizzarrie: ma si ha (ancora) un’idea di che cos’è veramente un milione? Non per fare i pierini, gli scetticoni o i guastafeste, ma esiste qualche fondatissima ragione per ritenere che a San Giovanni l’altro giorno non erano più di 150 mila. Che sono anche tanti, diamine, ma non è questo il punto.

Il punto è che per quanto riguarda le cifre delle manifestazioni, sempre più spudoratamente i partiti e i loro leader «ci marciano», nel senso che non solo danno i numeri, ma li sparano ogni volta più grossi; con il che la forchetta tra il dato reale e quello immaginario comprende di solito una tale massa di persone da poterci riempire una città assai popolosa, o altre sei o sette piazze.

Va da sé che questa pregiudiziale esagerazione fanta-numerica viene messa in scena senza alcuna diversità di schieramento. Mezzo milione di presenze ha reso noto due settimane orsono An al Colosseo. Ma quando mai? Tutto lascia credere che fosse 70, al massimo 80 mila, e proprio a tenersi larghi. Come per la sinistra radicale, anche nel caso di Alleanza nazionale la politica c’entra nulla: è un fatto di matematica, geometria, fisica dei solidi.

Un tempo, si sa, c’erano le stime della questura: valutazioni istituzionalmente al ribasso che facevano da contrappeso e oggi si può dire: anche da calmiere, al trionfalismo algebrico degli organizzatori. Ma da qualche tempo, se non espressamente sollecitata, la Polizia se le tiene per sé. C’è da dire che alla questura di Roma il conteggio dei manifestanti è sempre stata un’arte applicata con enorme dispiego di impegno e di forze. Nel 1973, sciopero generale dei lavoratori delle costruzioni, al giovane funzionario della Ps Carlo De Stefano l’allora leggendario capo della Digos Bonaventura Provenza e il questore (poi capo della Ps) Giuseppe Parlato richiesero di contare, letteralmente ed effettivamente, quanti manifestanti erano presenti a piazza San Giovanni. Era un’impresa immane e De Stefano dovette quindi escogitare un metodo che rese il futuro e attuale Direttore dell’Ucigos il maggior conoscitore delle piazze romane, vuote e piene, deserte o stracolme che siano.

Sistema empirico, ma fino a un certo punto. Si tratta di calcolare la metratura dello spazio e misurarne la densità. In ogni metro quadrato stanno in genere dalle tre alle quattro persone. Ma esistono diverse altre variabili: la posizione del palco (più o meno addossato alla basilica), la dislocazione della folla nelle vie laterali, l’ampiezza e la velocità del corteo (tanto compatti quelli di un tempo quanto sfilacciati quelli odierni). A quest’ultimo riguardo il parametro di raffronto è il tempo di deflusso dello stadio Olimpico (80 mila posti) dopo una partita di grande rilievo. Questi elementi vanno fatti reagire con l’afflusso dei pullman (ogni pullman 50 persone) e dei treni straordinari (con 13 carrozze si va dalle 700 alle 900 presenze).

A Provenza e Parlato il giovane De Stefano, che in mancanza di elicotteri scrutava il tutto dal terrazzino dell’edificio che contiene la Scala Santa, disse che quel giorno del lontano 1973 i partecipanti erano dagli 80 ai 90 mila. Il sindacato ne dichiarò 300 mila. L’esempio è interessante perché da allora consente di stabilire che piazza San Giovanni, stracolma, ospita al massimo 150 mila individui. E non due milioni, come proclamò Berlusconi nel dicembre 2006; né un milione e mezzo, come annunciato dal palco durante il Family day del maggio scorso.

Piazza Navona contiene d’altra parte tra le 80 e le 90 mila persone; e piazza del Popolo a mala pena 60 mila. Il Circo Massimo è uno spazio molto più ampio, ma non riesce a ospitare più di 300 mila unità, a dispetto dei tre milioni propagati dalla Cgil nella manifestazione contro il terrorismo e le modifiche all’articolo 18 del marzo 2002. Fu quella certamente fra le più affollate manifestazioni della storia repubblicana. Eppure, rispetto ai criteri di comunicazione propagandistica, per non dire bugiarda, ciò che più fa riflettere è che il coefficiente di scostamento numerico è passato da uno a tre degli anni settanta a uno a dieci di oggi.

Per alcuni decenni, ha sostenuto lo storico Mario Isnenghi, autore di Piazze d’Italia (Mondadori, 1989), «centomila persone è parso l’ideale». Difficile dire quando esattamente i politici hanno cominciato a farsi prestigiatori, novelli baroni di Munchausen, signori Bonaventura alla ricerca del milione, partecipanti alla surreale «Gara Mondiale di Matematica» raccontata da Cesare Zavattini. Certo un buon contributo al fenomeno deve averlo dato Bossi reclamando tre milioni di dimostranti nel 1996 sulle rive del Po; e altrettanti o forse più nel 1998 ai seggi delle elezioni padane, quando a suo dire vennero mobilitati 25 mila gazebi. In realtà, calcolò il Viminale, i tendoni furono 2.200, per giunta montati e rimontati nei vari paesi. E’ probabile che a quel punto, per malintesa emulazione, anche gli altri vollero sperimentare la «voluttà del numero che cresce» (Elias Canetti).

Ed eccoci così alla smilionante balla contabile normalizzata. Cifre asiatiche, cinesi; o forse cifre televisive. Metafore più o meno aggressive in alto e in basso. Comunque irreali. Truccate e insieme svergognate. Dopo tutto ci crede solo chi vuole crederci”

Repubblica

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