L’inizio del Laureato, con Dustin Hoffman e la sua valigia all’aeroporto di Los Angeles, e la musica di Simon and Garfunkel. La scena del ballo in mezzo alla strada di Saranno Famosi. Il funerale all’inizio di L’erba di Grace e quello all’inizio del Grande Freddo. La fine del Paradiso può attendere con l’incontro di Warren Beatty e Julie Christie alla fine del Superbowl. James Stewart che corre nella neve in La vita è meravigliosa. Tommy Lee Jones che dice ero stanco a Harrison Ford alla fine del Fuggitivo. Ogni volta che vedo una scena così in un film alla televisione – queste sono alcune di quelle che mi ricordo dalla programmazione di Natale – mi domando banalmente a che accidenti servano le reti generaliste. Tolta la necessità di informarsi sulle cose – e per quello ci sono i canali allnews – perché mai uno dovrebbe intrattenersi con un qualsiasi programma tv piuttosto che buttarsi su uno dei dieci film in onda sul satellite (o anche – raramente – sulle stesse reti generaliste).
Quindi oggi celebro i canali di cinema: che nessuno ringrazia mai perché fanno un lavoro effettivamente meno creativo: ma sono come una radio di buona musica, e ce ne fossero. E tra gli altri Studio Universal, per cui ho un debole. Perché in quei ridottissimi spazi di produzione propria di un canale di cinema – gli spot e la punteggiatura – sono bravissimi: dal colore giallo, all’orologio con le lettere al posto delle cifre, allo spot hollywoodiano con l’attore con la faccia da attore americano che spavaldo e gigione piomba in casa di una coppia di disgraziati a letto e annuncia l’arrivo del grande cinema di Studio Universal. E loro che gli rispondono ma li mortacci tua, m’anvedi questo e si girano dall’altra parte tornando a dormire. Perché anche la grandezza del cinema ha bisogno di qualche ridimensionata, ogni tanto.
Vanity Fair
Il grande cinema, li mortacci sua
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