Ieri ho visto l’Amleto di Lella Costa, e lei è bravissima. A un certo punto, però, usa molto sipritosamente un’ipotesi demografica che ricompare spesso nelle conversazioni tra dilettanti da qualche anno, e che mi aveva avvinto a suo tempo. Ovvero quella per cui – data la rapida e sensazionale crescita della popolazione mondiale in tempi recenti – oggi al mondo ci sarebbero più esseri umani viventi di quanti ne siano mai morti: la storia del genere umano quindi conterebbe oggi più vivi che morti (Lella Costa dice: se ogni persona sulla terra volesse recitare Amleto, non ci sarebbero teschi a sufficienza).
L’ipotesi è affascinante, ma ardita: e allora oggi ho chiamato il professor Livi Bacci, storico e demografo di chiara fama. Mentre si accingeva ad assistere al dibattito in Senato (è anche senatore) mi ha spiegato questo, molto chiaramente e sinteticamente:
– all’inizio dell’Ottocento la popolazione mondiale era di un miliardo di persone
– quindi possiamo dire con tollerabile approssimazione che la popolazione media dei due secoli XVIII e XIX sia stata di un miliardo
– possiamo anche dire che tutte le persone nate in quei duecento anni – salvo rarissime eccezioni – sia morta
– il tasso di natalità annuo medio in quel periodo era del 40 per 1000: quindi ogni anno nascevano in media 40 milioni di bambini
– moltiplicato per duecento anni, fa 8 miliardi di persone nate solo nel Settecento e nell’Ottocento, e tutte (o quasissimo) morte
Ovvero, solo in questi due secoli sono morte più persone di quante siano vive oggi.
Non era vero, insomma
p.s. qui, Scientific American (grazie a Yaub)
Più morti che vivi
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