Simonetta Fiori, su Repubblica di oggi:
“L’intenzione è esplicita fin dal titolo, Contro Giuliano, e l’omissione del cognome sembra voler sottolineare l’amicizia tra l’autore, Adriano Sofri, e il suo interlocutore, il direttore del Foglio. Un legame molto antico, intenso, nutrito anche di gratitudine da parte di Sofri – che vi fa cenno con pudore nella nota per i lettori – ma che oggi appare segnato da un crescente dissenso sulla crociata intrapresa da Ferrara a favore della “moratoria dell’aborto”. Contro Giuliano è una lunga, civilissima e spietata lettera su donne e aborto, scritta in poche settimane e pubblicata in tempi rapidi da Sellerio. Un pensum impietoso perché smonta radicalmente la costruzione edificata da Ferrara nella sua “conversione” alla vita. E la demolizione parte proprio dallo slogan, “moratoria dell’aborto”, formula che appare a Sofri mediocre e priva di senso. «Che cosa significa? Niente direi, solo uno slogan, reso efficace dal calco capovolto di quell’altro, moratoria della pena capitale. Le singole persone coinvolte, cioè le donne, non possono sospendere a tempo indeterminato gli aborti, a differenza degli Stati, che possono sospendere sine die le esecuzioni capitali». Solo uno slogan dunque, con l’aggravante di liquidare l’aborto come “delitto perfetto” e le donne come assassine.
L’aborto scandalo supremo del nostro tempo? Sofri, che tiene una rubrica sul Foglio, fa fatica a crederlo. Lo ferisce il paragone con altri genocidi, addirittura con la Shoah. Gli appare offensivo o solo cattiva retorica. No, un embrione abortito non è certo la cosa più brutta al mondo e – se proprio si sceglie il comparativismo dell’orrore – la cosa più brutta è un bambino nato che muore di fame, o ucciso dall’abbandono o dalla violenza. Ma non è solo in questo rovesciamento di prospettiva la distanza tra i due duellanti. Né nello stile predicatorio e apocalittico scelto da Ferrara. «Quando leggo che vuoi seppellire i bambini abortiti, mi sento di fronte a una provocazione fanatica e superstiziosa». Quasi non lo riconosce.
Ciò che Sofri rimprovera essenzialmente al suo interlocutore è d’aver occupato territori che non gli sono propri. D’essere usurpatore d’una titolarità che non gli appartiene. Ferrara s’è buttato in un’impresa che resta impossibile: mettersi nei panni delle donne. Se in politica è possibile annullare tutte le frontiere possibili – geografiche, sociali, culturali, anche anagrafiche – una rimane invalicabile: quella tra donne e uomini. È quella stessa frontiera che impedisce a un uomo di dire: «Io ho abortito». Noi, incalza Sofri, dobbiamo escogitare frasi involute, imbarazzate, per approssimarci a quel che è successo.
Il discorso scivola nell’intimità, acquista l’andamento confidenziale d’una conversazione tra amici. «Tu, Giuliano, hai citato “le tre volte” delle tue compagne. È curioso perché anni fa quando litigavamo di queste cose avevi espresso un fastidio per i discorsi dal tono personale. Allora e ora delle mie esperienze non parlerei in dettaglio, ma non saprei tacere degli aborti affrontati da donne che erano mie compagne». Parto e aborto coinvolgono il corpo delle donne, solo il loro. Gli uomini non partoriscono e non abortiscono. Sofri sembra quasi mosso da un intento espiatorio nell’evocare la fenomenologia maschile di cinismo, indifferenza, estraneità che segna il comportamento degli uomini dinanzi alla gravidanza inattesa e non desiderata. «Credo di sapere, caro Giuliano, che cosa intendi quando racconti il pianto antico che ti rosicchia per gli aborti di cui fosti partecipe – complice? coautore distante? non vittima comunque. Slogan a parte, non si sapeva nemmeno come fare l’amore, figurarsi come pensare a un aborto o come accompagnarlo. Perfino fisicamente, ci si lasciava: alla partenza per Londra, o sulla soglia di un palazzo fiorentino». Le donne lasciate sole, allora come oggi.
Innumerevoli le contraddizioni in cui incorre Ferrara nella sua dissennata campagna. Sofri non ne tralascia alcuna. L’insistenza sul “diritto alla vita dal momento del concepimento” offre pretesti a chi vuole rendere illegale e dunque clandestino l’aborto. Ferrara ripete di non volere che mai una donna sia costretta a partorire o sia perseguita per aver abortito. Ma in realtà tutto il suo armamentario – e la scelta di schierarsi al fianco delle gerarchie ecclesiastiche – mette in discussione la legge 194. «Perché non chiedi anche ai credenti diventati la tua nuova famiglia di accettare la 194 come tu proclami di accettarla?».
Al centro della discussione è il principio dell’autodeterminazione delle donne. Per Ferrara esso appartiene allo stesso flagello sotto il quale annovera l’oppressione degli Stati totalitari. È questa “la confusione madornale” contro cui Sofri si scaglia. «La condanna delle demografie coattive stataliste è proprio conseguente al riconoscimento della libertà di scelta delle donne, delle singole donne, che è la qualità più preziosa delle democrazie». Da qui la proposta di Sofri di promuovere sì una campagna, ma non contro l’autodeterminazione delle donne, bensì contro «la violenza delle demografie forzate di Stato e dei loro tremendi effetti, come l’abolizione per legge di fratelli e sorelle». Solo in questa direzione acquisterebbe senso una mobilitazione “contro l’indifferenza allo scandalo dell’aborto”. Il mondo salvato dalle bambine. Da una bambina cinese, o indiana, o coreana, o brasiliana o sudanese. O da una qualunque. «Perché non chiedere all’Onu di stabilire che nessuna donna possa essere obbligata per legge ad avere figli o a non averne, né in quale numero e di quale sesso averli, né ad abortire o a non abortire?». L’oppressione violenta del corpo sociale sui corpi delle donne: questo sì dovrebbe diventare l’obiettivo di una mobilitazione universale.
Di questi e molti altri temi discute Sofri, mosso da ragione e sentimento, anche da esperienza di vita. Tra i suoi interlocutori figurano Norberto Bobbio e Pier Paolo Pasolini, autori adottati da Ferrara nella crociata, ma il confronto rimane mirato verso l’amico. La sua conversione lo inquieta, in queste pagine i toni diventano severi. «Esiste un modo di cambiare vita che può apparire brusco e imprevisto, che avviene una sola volta, e trasloca le persone sull’altra sponda del fiume, dalla quale non torneranno di qua. Ma esiste anche un’irrequietudine più continua e sottile, come una piccola febbre, un’ansia che induce a una sequela di svolte, di cambiamenti provvisori, di andate e ritorni. Un modo di cambiare tante vite senza mai cambiarla irrevocabilmente». Una sorta di “conversione permanente” che rischia di sfociare nella volubilità e nella superficialità. «Si rimane Davide di qualche Saul, senza mai diventare il Davide di se stesso».
Pensieri di un maschio che discute con un altro maschio? Così Sofri minimizza nell’introdurre il pamphlet, come se volesse chiedere scusa alle donne escluse da questo dialogo”
Contro Giuliano
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