Fare altro, se si è capaci

Sofri, quello anziano, sullo stato in cui stiamo:

“Mi hanno raccontato di un giovane padre il cui bambino ha paura dell’uomo nero. Il padre gli ha detto che non risulta a sua memoria un solo caso di uomo nero, gli ha fatto vedere le statistiche: niente, il bambino ha ancora paura. Chi non s’intenerirebbe a un bambino spaventato dall’uomo nero? Purchè una popolazione di milioni di adulti non pretenda di fare tenerezza anche lei. La xenofobia, si dice, è la paura del diverso, dunque è qualcosa di naturale. Chi non prova un’apprensione, una diffidenza, un’angoscia nei confronti dello sconosciuto? Mah: non ci si crogioli troppo con le etimologie. La xenofobia è anche l’invenzione del diverso, e il disprezzo, l’avversione e la persecuzione del diverso. E’ a un passo dal razzismo, e spesso quel passo l’ha fatto. Gli italiani non sono xenofobi, non sono razzisti? Ah, Padre, non metterci alla prova, non indurci in tentazione. Nel dizionario dei nostri luoghi correnti gli zingari sono associati da sempre al fuoco, al lanciafiamme, ai forni. Figurarsi quando incenerire rifiuti urbani non si può, rifiuti umani magari sì. Tutto in ordine: un commissario speciale ai rifiuti urbani, uno agli umani. Speriamo che qualcuno segua la vicenda della ragazza accusata di voler rubare una bambina a Ponticelli, fino a venirne a capo. Come spiega il padre sull’uomo nero, abbiamo statistiche inesorabili che non contemplano bambini rapiti da zingari: da altri italiani sì.

I sondaggi freschi danno i “musulmani” retrocessi al quarto posto, dopo zingari, albanesi e rumeni (è già tanto che distinguano fra rom e romeni). Ah, popolo fanciullescamente volubile: abbiamo già declassato, per il momento, lo scontro di civiltà. Davvero, dobbiamo preoccuparci di evocare a vanvera l’antisemitismo dell’infanticidio rituale, la memoria dei pogrom? Mah: direi che sono altre le parole che andrebbero risciacquate: sicurezza, per esempio, sinistra, per esempio. O intere locuzioni, che non si ascoltano più senza ridere: radicarsi nel territorio, per esempio. La Lega ha messo tutti in soggezione grazie alla sua prova di Radicamento nel Territorio. Ma in una classifica neutrale della materia c’erano, sia detto senza offesa, modelli più rigogliosi, non so, Hamas, radicata nella striscia di Gaza, la camorra, la mafia, la ‘ndrangheta. Perfino la democrazia, obbligata a ratificare gli esiti elettorali del radicamento nel territorio, conosce le sue eccezioni, come negli scioglimenti prefettizi di amministrazioni comunali dove si esagera col radicamento. Ci sono posti nei quali viene da augurarsi un certo sradicamento dal territorio: guardate Roberto Saviano, che ha scavato così a fondo alla ricerca delle radici da dover vivere altrove, invidiato, minacciato e braccato. La Lega, quando si proclamò padana, dichiarò stranieri tutti gli altri.

Non è piacevole dirlo, ma il succo delle elezioni sta in un’espulsione, un rigetto della classe politica di centrosinistra dalla pancia del paese. Un caso di rocambolesca xenofobia. Del resto la posta ultima della lotta politica fu dall’antico questa: l’esilio degli altri. Bisogna pensarci, quando si pronuncia la frase celebre: “Io me ne vado all’estero”. Non lo prendete troppo per un paradosso. Un segnale lo dava il linguaggio, che trattava all’ingrosso da clandestini migranti stranieri e politica di centrosinistra: “Rimandiamoli a casa” e vaffanculo. Nel caso di Veltroni, più precisamente: “Rimandiamolo in Africa”. Così disse Berlusconi, e questo fa somigliare la sbandierata cordialità del suo dialogo attuale a una pratica di diplomazia estera. Lo ridico: non prendetelo per uno scherzo. Il centrodestra non ha fatto granché, nel biennio fra le due elezioni, per meritare il suo trionfo. Ha fatto tutto la coalizione di governo, compresa la sua componente che fa le veci della destra, che si trattasse, all’interno della maggioranza, di guidare una crociata sull’indulto (sicchè il centrodestra beneficiò doppiamente dell’indulto, per le modalità convenienti che aveva dettato, e per il ripudio popolare del governo) o che si tratti, all’interno dell’opposizione, di rivendicare la trasformazione dell’immigrazione “clandestina” in reato penale, come vuole Di Pietro, forte di quaranta parlamentari graziosamente regalati da un Pd sulla cui groppa piantare banderillas quotidiane. Quel che resta del centrosinistra deve chiedersi come mai sia stato solo lui il bersaglio colpito dal giustizialismo allevato in seno, dalla cosiddetta antipolitica, dalla stessa travolgente denuncia della Casta. Il rigetto pressochè viscerale, esistenziale, della classe dirigente di sinistra si è manifestato con la stessa insofferenza animalesca che prorompe contro gli “stranieri”. Quella classe politica, alla maggioranza degli italiani, ha finito per apparire come un corpo estraneo, da espellere, sul quale sfogarsi e trarre vendetta. Come è potuto succedere? Rispondere, farebbe fare un passo avanti. Ci sono due ordini di questioni. Uno fornisce una piccola consolazione alla disfatta della sinistra, ed è l’argomento della moneta cattiva che scaccia la buona. L’altro condanna la sinistra (tutte le sinistre, dal centro all’estrema) a riconoscersi in un’immagine sfigurata. La questione, realissima e poi metaforica, della xenofobia è per ambedue quella dirimente.

La moneta buona. Tanti anni fa, facendo tesoro di una complicazione come quella sudtirolese-altoatesina (luogo di frontiera, crogiolo di nazionalità e minoranze e lingue, deposito storico di contese acerrime) Alex Langer e i suoi perseguirono per primi un programma federalista, europeista, nonviolento, premuroso verso le piccole patrie e l’orizzonte planetario. Le tappe di quell’impegno furono scandite dal primo “ecopacifismo”, dal rifiuto coraggioso del censimento etnico, dall’apertura internazionale ai diritti umani. La paziente e delicata anticipazione federalista, locale e globale -i nomi non c’erano ancora- di Langer si volse nel giro di pochi anni (gli anni della Jugoslavia, e di un arrivo così rapido e ingente di migranti in Italia da mutarne la fisionomia demografica e storcerne lo stato d’animo, come una sinistra imbambolata non volle vedere) nella versione leghista degli stessi temi, con la differenza che separa, e anzi oppone, una porta che si apre da una che si chiude. Federalismo, secessione, macroregione, xenofobia e, non di rado, razzismo furono la nuova moneta -anche il colore verde ne fu confiscato. La sinistra tradizionale in tutte le sue componenti, travolta da vicende internazionali e interne sempre subite e mai anticipate, dall’89 a Mani Pulite, non fece altro, lungo tutto questo tumultuoso volgere di tempi, che provare a galleggiare, spesso ai danni del vicino di naufragio, e rincorrere di volta in volta le occasioni con un cambio di ragione sociale. La nascita del Pd è ancora in bilico: fra l’ennesimo mutamento di ragione sociale, e una svolta vera, comunque di lunga lena. Ora, la domanda è se in tempi di precipitosa mutazione degli equilibri mondiali, di crisi di modi di produzione e di pensieri, di terremoti di vecchie identità, la moneta cattiva sia inevitabilmente destinata a scacciare la buona. La storia del Novecento sembra indurre alla risposta pessimista. Naturalmente, ci si guarderà dal concluderne che le responsabilità delle persone e dei gruppi siano irrilevanti. Perchè in ogni caso perdere si può, e può perfino essere la sorte più onorevole: ma finire invisi a una larga maggioranza di propri concittadini come stranieri in patria -come gli incolpevoli zingari italiani di cittadinanza, cui la brava gente, anche quella che si contenta di non dar loro fuoco, intima di tornarsene a casa loro…- questo ha bisogno di una speciale spiegazione. Agli eredi di centrosinistra della Prima Repubblica era rimasta, passato l’inganno della diversità antropologica, un’aura residuale di miglior professionalità, e anche di un più retto cinismo, per così dire. Le avventure della coalizione hanno distrutto anche questo resto. In cambio, hanno instillato nella maggioranza degli italiani la sensazione da bava alla bocca di un modo di essere di vivere e di esibirsi che ne faceva desiderare la cacciata ben più che la vittoria degli altri. Ne vedremo, ne vediamo già delle belle. Berlusconi promette tante libertà, e tante se ne prende, e intanto un suo avvocato difensore vuole intestarsi il reato di immigrazione clandestina e l’espulsione di qualche centinaio di migliaia di badanti. Troppa grazia. Ma tutto questo non ha impedito che la famosa Casta designasse pressoché solo la consorteria umana del centrosinistra e della sinistra, che la testa di Pecoraro Scanio venisse portata -metaforicamente, grazie a Dio- sulle picche dai sanculotti, e che l’estromissione di un ceto politico apparisse come una pulizia etnica. Quando il mercato premia la moneta cattiva, si può fare a gara con i cattivi coniatori, battendo monete appena un po’ meno fasulle; oppure fare altro, se si è capaci. Se non se ne sia capaci, almeno dissociare la propria responsabilità dal fuoco alle baracche, così, perchè un giorno i propri nipoti…”

Repubblica

Abbonati al

Dal 2010 gli articoli del Post sono sempre stati gratuiti e accessibili a tutti, e lo resteranno: perché ogni lettore in più è una persona che sa delle cose in più, e migliora il mondo.

E dal 2010 il Post ha fatto molte cose ma vuole farne ancora, e di nuove.
Puoi darci una mano abbonandoti ai servizi tutti per te del Post. Per cominciare: la famosa newsletter quotidiana, il sito senza banner pubblicitari, la libertà di commentare gli articoli.

È un modo per aiutare, è un modo per avere ancora di più dal Post. È un modo per esserci, quando ci si conta.

Abbonamento mensile
8 euro
Abbonamento annuale
80 euro
C’è stato un equivoco