Sono molto diffidente della formula rituale con cui da mesi si pretende di spiegare e risolvere la sconfitta del centrosinistra italiano e le sue difficoltà: “bisogna saper conoscere il paese” (varianti: “sondare gli umori”, “stare sul territorio”, “essere vicini alla gente”, “i bisogni reali”). Penso da una parte che le peggiori cose dei nostri tempi siano state partorite da gente che aveva ben chiari gli umori e i capricci della “gente”; e dall’altra che, una volta capiti questi umori e questi bisogni, se si dovessero rivelare il desiderio di bruciare gli immigrati e non pagare le tasse, che si fa?
Penso insomma che una vera buona politica deve educare noialtri e il paese, mentre quella italiana recente lo ha maleducato incentivando comportamenti e pensieri che una volta erano almeno sanciti come sbagliati. Sul territorio bisogna starci per capire come migliorarlo, non come accontentarlo. Certo, prima dovrebbero essere migliori quelli che se ne incaricano, e non ne vedo tanti in giro.
Scrivo tutto questo – che assai più lungo e articolato potrebbe essere – dopo aver letto e condiviso Michele Serra di oggi:
Il vero problema, mi pare, è che conoscere il male non è più la condizione per combatterlo. In parole semplici, non abbiamo più né il coraggio né la forza di chiederci se le cose, così come sono, potrebbero cambiare, o avrebbero potuto andare diversamente. Stiamo diventando, tutti, meri registratori di una realtà a volte passabile, a volte orrenda, che comunque sovrasta la nostra speranza di mutamento, ed è già tanto se ci concede ancora libertà di giudizio e di critica. La rassegnazione (e la fuga…) sono i sentimenti dominanti di fronte a meccanismi sociali che, per la prima volta da quando siamo al mondo, ci paiono così potenti da essere immodificabili. Traducendo in politica, la frustrazione della sinistra è molto di più di una somma di sconfitte: è il timore che il campionato sia finito.
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