Bob Kennedy

Robert Francis Kennedy – chiamato Bob o, affettuosamente, Bobby – (Brookline, Massachussets, 20 novembre 1925 – Los Angeles, 6 giugno 1968) è stato un politico statunitense, figlio di Joseph P. Kennedy e Rose Fitzgerald e fratello di John Fitzgerald Kennedy.
Laureatosi ad Harvard nel 1948, dopo una breve esperienza nella Marina, si specializzò in legge nel 1952 alla guida della campagna per l’elezione a senatore del fratello. Bob Kennedy si sposò presto ed ebbe, dalla moglie Ethel, ben undici figli, l’ultima dei quali nascerà dopo la sua morte. Dopo essere stato fra il 1950 e il 1954 il vice di Joe McCarthy alla guida della Commissione per le attività antiamericane, ovvero la commissione specializzata nell’anticomunismo, e nel Comitato Antirackets nel 1956, nel 1959 decise di dedicarsi alla campagna presidenziale di John.
Dopo l’elezione del fratello (1960) ne divenne ministro della Giustizia durante tutta la presidenza1961 – 1963). Svolse il ruolo di consigliere nella crisi dei missili cubani. Dopo l’assassinio di JFK lasciò il governo per candidarsi al Senato (1964). In questo periodo si avvicinò al movimento per i diritti civili di Martin Luther King, che aveva avuto buoni rapporti con John.
RFK, così veniva anche chiamato, fu un oppositore della guerra in Vietnam e convinto sostenitore dei diritti civili, nel 1964 venne eletto al Senato e nel 1968 annunciò la propria candidatura alla presidenza degli Stati Uniti d’America come candidato del Partito Democratico, in aperta contrapposizione con la politica del presidente uscente Lyndon Baines Johnson, del suo stesso partito, ritenuto l’artefice dell’escalation della guerra in Vietnam.

Quest’anno si è riparlato molto di Robert Kennedy, che prima lo citava solo Veltroni e tutti dicevano “ah, il fratello di John”. Perché era il quarantennale del suo assassinio, perché è uscito il film di Emilio Estevez (ah, il fratello di Charlie Sheen, e figlio di Martin), e soprattutto perché tutti predicono a Obama la fine di Robert Kennedy (se è fortunato, dopo novembre gli annunceranno quella di John): con talmente tanta eccitazione che la settimana scorsa al Corriere della Sera è partito un colpo e ha aperto la prima pagina con un progetto per un attentato a Obama che in realtà era una conversazione tra tossici strafatti che nemmeno sono stati incriminati.
Robert Kennedy morì in cucina, come si sa. Nelle cucine dell’Ambassador Hotel di Los Angeles, che stava attraversando per lasciare il luogo di un suo affollatissimo discorso e raggiungere un’improvvisata conferenza stampa. Aveva appena vinto le primarie della California, decisive per battere McCarthy e vedersela alla Convention di Chicago con Humprey (sarebbe stata la famosa convention degli scontri tra polizia e contestatori sessantottini, e del processo ai “Chicago seven”). Su YouTube si trovano moltissimi materiali originali su quel discorso e sui momenti successivi: ma malgrado il piccolo corteo di giornalisti e fotografi intorno a lui, esistono solo immagini immediatamente seguenti gli spari. Mentre stringeva le mani al personale della cucina lo uccisero i colpi di Sirhan Sirhan, allora un ventiquattrenne di origine palestinese, le cui motivazioni non sono mai state chiarite (quella convenzionale riguarda il filoisraelismo di Kennedy, ma c’è anche qui un mondo di “punti oscuri”), e che sta ancora scontando l’ergastolo in una prigione californiana. Robert Kennedy morì in ospedale il giorno dopo, a quarantadue anni.
Un giorno, la settimana scorsa, ho trovato sul banco di una libreria il libro di Paul Fusco che si chiama “Paul Fusco RFK”. La storia è stata molto raccontata i mesi scorsi, soprattutto in un lungo articolo di Mario Calabresi su Repubblica. Fusco è un fotografo che fu mandato sul treno che portava la bara di Robert Kennedy da New York – dove si tenne il funerale, nella cattedrale di Saint Patrick, due giorni dopo la sua morte – a Washington, dove sarebbe stato seppellito vicino a suo fratello John. Il viaggio del treno fu lento e durò una giornata, e fu seguito da migliaia di persone che si avvicinarono ai binari per tutto il tragitto per salutare la bara. Fusco le fotografò, e il servizio è pazzesco. Ma non lo usò nessuno fino a dieci anni fa, quando alcune di quelle foto uscirono in un volume intitolato “RFK Funeral Train”. Lo scorso mese, un nuovo gruppo di foto tratte da quella giornata e ritrovate di recente è stato pubblicato in un secondo volume, quello che mi sono messo a guardare in quella libreria.
Tutto questo per dire che non dovreste fermarvi a leggere questo racconto o gli altri su quelle foto, come avevo colpevolmente fatto io. Stavo in quella libreria, e sfogliavo gli scatti di Fusco, e avevo i brividi. Su Amazon sta a trentuno dollari e mezzo.

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