Lupini, Mc Guffin e il principio lectio difficilior potior

Il lupino (Dosinia exoleta) è un mollusco bivalve della famiglia Veneridae.

Il lupino bianco (Lupinus albus L., 1753) è una pianta della famiglia delle Fabaceae.

Mc Guffin è un termine coniato dal celebre regista Alfred Hitchcock; con questo vocabolo si identifica un espediente attraverso il quale si fornisce dinamicità alla trama. Il Mc Guffin è un qualcosa che per i personaggi del film ha un’ importanza cruciale, attorno al quale si crea enfasi e si svolge l’azione ma che non possiede un vero significato per lo spettatore. Un celebre Mc Guffin è quello attorno al quale ruota il “mistero della valigetta” in Pulp Fiction: alla fine del film lo spettatore non sa cosa contenga la valigetta (che rappresenta il Mc Guffin), ma grazie a questo espediente il regista ha potuto giustificare diverse sequenze narrative.
Ciò che caratterizza il Mc Guffin rispetto ad un altro espediente narrativo è che non ha importanza cosa l’oggetto in questione sia specificamente, poiché non ha altro impatto sulla storia oltre a quello di fornire ai personaggi una motivazione – tanto che, come nel già citato Pulp Fiction oppure nel film Ronin, la sua vera natura a volte non è nemmeno svelata.
Nel famoso libro-intervista Il cinema secondo Hitchcock il regista spiega cosa sia il Mc Guffin con questo esempio:
“Si può immaginare una conversazione tra due uomini su un treno. L’uno dice all’altro:-Che cos’è quel pacco che ha messo sul portabagagli?-. L’altro:-Ah quello, è un Mc Guffin-. Allora il primo:-Che cos’è un Mc Guffin?-. L’altro:-È un marchingegno che serve per prendere i leoni sulle montagne della Scozia-. Il primo:-Ma non ci sono leoni sulle montagne della Scozia-. Quindi l’altro conclude:-Bene, quindi non è un Mc Guffin! Come vedi, un Mc Guffin non è niente”

Il principio lectio difficilior potior (Latino) alla lettera la lettura più difficile è la più forte è un principio di critica testuale.
Laddove manoscritti differenti di uno stesso testo sono in conflitto su una determinata parola, il termine più insolito è quello più probabilmente fedele all’originale. Il presupposto è che per i testi giunti attraverso la tradizione manoscritta, i copisti sostituissero più spesso le parole difficili ed i detti inusuali con quelli più correnti e comuni, di quanto si sia realizzato il fenomeno contrario.

Come ricorderete, è centrale nei Malavoglia il fallimento di un “negozio di lupini”, nel senso del commercio dei suddetti:
“Padron ‘Ntoni adunque, per menare avanti la barca, aveva combinato con lo zio Crocifisso Campana di legno un negozio di certi lupini da comprare a credenza per venderli a Riposto, dove compare Cinghialenta aveva detto che c’era un bastimento di Trieste a pigliar carico. Veramente i lupini erano un po’ avariati; ma non ce n’erano altri a Trezza, e quel furbaccio di Campana di legno sapea pure che la Provvidenza se la mangiava inutilmente il sole e l’acqua, dov’era ammarrata sotto il lavatoio, senza far nulla”
A scuola, quando si studiava e si leggeva I Malavoglia, nessuno aveva mai il coraggio di chiedere cosa fossero, ’sti lupini. O alcuni lo davano per scontato, come gli stessi professori a cui non era mai stato detto né insegnato, ma si attenevano alla loro conoscenza della lingua. E così, in gran parte del paese si riteneva ovvio che si trattasse di quei legumi gialli che si consumano alle sagre (dalle parti mie in Toscana, assieme a quell’altro fenomeno culturale-botanico chiamato “le seme”, o “le seme del Chiellini”), o alle partite di calcio, e vengono tenuti a mollo in secchi d’acqua dal venditore. E che lasciano alle spalle del consumatore mucchi di bucce mollicce di cui poi si deve occupare l’addetto alle pulizie.
Ma in altre parti del paese (alcune regioni centro-meridionali), al nome di lupini corrispondono certe specie di vongole, molluschi bivalve (Dosinia lupinus). Wikipedia ha voci per ambedue, e chiama i primi “lupini bianchi”. E quindi tali venivano ritenuti i lupini della Provvidenza, quando se ne parlava a scuola.
A questo punto starete già tutti ridendo, ognuno della versione che ritiene errata, certi di aver sempre saputo cosa fossero, i lupini. Macché legumi! Macché vongole! Salvo quelli, e si è scoperto che c’erano, che si erano immaginati piccoli cuccioli di lupo. Ipotesi suggestiva, ma diciamo più improbabile (c’è anche una minoranza che li immagina pesci, e persino i casi di fucili “tipo lupare”, e un “maglioncini a lupetto”, a leggere su internet).
Andiamo avanti. A un certo punto, le due ipotesi si sono confrontate e scontrate, per qualche accidentale conversazione dedicata ai ricordi di scuola, o va’ a sapere. E internet ha poi esaltato questi confronti. Si trovano in diversi luoghi del web accese discussioni sul tema. È comune a tutte una quasi unanime sicurezza della propria versione. Macché legumi! Macché vongole!
Dalla parte dei legumi, per così dire, stanno i seguenti elementi: maggior quantità di sostenitori (il rapporto è di circa due a uno), e implausibilità del fatto che dei molluschi possano essere “fradici” (e però qualcuno lo sostiene sinonimo di “marci”, indipendente dall’accezione liquida).
Quel disgraziato di Verga, peraltro, per tutto il libro non ci dice mai niente di questi dannati lupini, se non che fossero “avariati” e “fradici”.
Dalla parte dei molluschi sta, mi pare, un solo elemento: che sia più realistico che una barca che va per mare carichi delle vongole piuttosto che dei legumi (e però Verga spiega che erano caricati solo per trasportarli da un posto all’altro, non “pescati” o raccolti in mare). Se non vogliamo metterci anche la lectio difficilior. Ma forse è troppo difficilior che si portassero delle vongole dalla Sicilia fino a Trieste.
Il risultato, a mio giudizio, è che dentro il libro non esistano elementi che definiscono esattamente cosa siano, i lupini in questione. E questo mi pare già notevole, indipendentemente dalla maggior plausibilità, a conti fatti, della tesi legume. I lupini sono probabilmente dei legumi, ma sono soprattutto dei McGuffin.
L’altra cosa notevole, culturalmente, è che su uno dei caposaldi tradizionali della nostra cultura scolastica e della nostra tradizione letteraria, tutti (compreso il corpo insegnante nella sua totalità, stando a una mia indagine sommaria) siamo sempre stati solidamente convinti di una cosa che invece è – come detto – quantomeno misteriosa e controversa, oppure non abbiano mai capito di cosa si parlasse. Non so se con la Gelmini si facciano ancora i Malavoglia – la regressione cronologica lo suggerirebbe, ma è pur sempre roba di meridionali –, forse una circolare ministeriale sui lupini potrebbe aiutare.

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