Weeklypedia (dove si parla di Feist, Slinky, Carlos Zambrano, lupini e Mc Guffin)

Leslie Feist (nata il 13 febbraio 1976 a Amherst, Nova Scotia) è una cantautrice canadese. Si esibisce facendosi chiamare solo Feist.
La sua carriera incominciò con il gruppo musicale punk-rock canadese Placebo (non il gruppo omonimo inglese più famoso), che vinse un concorso locale per diventare band di apertura dei concerti dei Ramones. (…) La svolta e il riconoscimento da parte del pubblico lo ha avuto nel 2003: pubblicando il suo album Let it die si è imposta prepotentemente nel mondo della musica indipendente, mescolando ritmi di jazz e bossanova.

C’è stata una pettegola ammucchiata giornalistica, all’udienza di questa settimana del processo per l’omicidio di Perugia. Tra gli altri dettagli (trucco acqua e sapone, cose così) su cui i quotidiani si sono dedicati fin dalle prime pagine, c’era la musica che l’imputata ascoltava in cuffia nel suo iPod, in aula. Ascoltava Feist, hanno scritto i giornali, “la sua cantante preferita”. Naturalmente gli stessi giornali avevano fino a oggi citato Feist, cantautrice ormai di una certa popolarità e culto internazionali, al massimo una volta o due: nel migliore dei casi e nelle pagine di spettacoli. Quindi i poveri lettori dei pezzi di cronaca omicida rimanevano lì a chiedersi “e che è, ‘sto Feist?” (o anche “e chi se ne frega?”). Su Repubblica veniva loro in soccorso Laura Laurenzi, che chiamando la cantante per esteso Leslie Feist (forma sconosciuta persino ai fans), spiegava: “Mentre la corte è riunita Amanda canta sottovoce i brani punk rock di Leslie Feist”.
Ora, si dà il caso che le canzoni che hanno valso a Feist i successi di questi anni siano delle originali e moderne filastrocche pop cantati con la sua vocetta infantile (e una cover dei Bee Gees, figuriamoci): e quindi in molti ci siamo chiesti chi gliel’avesse messo in testa, a Laura Laurenzi, che potesse definirsi punk rock. Se non il tic di associare ogni tenebrosa possibilità quasi satanista a un torbido omicidio con sesso accessorio: morte, punk rock, le solite cose. La risposta è che gliel’ha messo in testa Wikipedia, letto per sole tre righe, senza arrivare fino a “jazz e bossanova”. Certo, “Mentre la corte è riunita Amanda canta sottovoce i brani jazz e bossanova di Feist” non suonava altrettanto macabro.

Uno Slinky è un giocattolo a spirale inventato dall’ingegnere meccanico Richard James a Philadelphia, Pennsylvania. Poteva scendere le scale ribaltandosi successivamente da un gradino all’altro. Ce ne sono diverse misure, con la forma di un’elica a sezione lamellare, originariamente in metallo.

Insomma, la molla. “La” molla, non una molla: quel giocattolo semplicissimo costituito da una molla a cui si possono far scendere le scale, o che si tiene come soprammobile. Gli americani lo chiamarono Slinky: il signor James ci costrui un impero di giocattoli e ne vendette talmente tanti che qualche anno fa è stato nominato “giocattolo ufficiale della Pennsylvania”. Uno Slinky a forma di cane – una depravazione per i cultori dell’oggetto – apparve poi anche in Toy Story, il cartone. Mentre in Ghostbusters II i protagonisti citavano l’esperienza più comune e sgradevole del possessore di Slinky: la sua torsione oltre la tolleranza elastica che, assieme all’annodamento inestricabile delle spirali, la trasformavano in un’inutile bruttura, sintomo per gli ospiti a cena della presenza di bambini molesti e casinisti.

Carlos Alberto Zambrano (1 giugno 1981, Puerto Cabello, Venezuela), popolare come “Big Z”, è un lanciatore destro nella Major League del Baseball che gioca nei Chicago Cubs dal 2001.

Nel gioco del baseball, il termine no-hitter (“nessuna valida”) designa una partita di almeno 9 inning in cui una delle due squadre non riesce a realizzare nemmeno una battuta valida, una battuta, cioè, in territorio valido che consenta al corridore di raggiungere la prima base prima della palla, e quindi dell’eliminazione. Seppur attribuibile a più giocatori che si alternano sul monte di lancio, il termine no-hitter designa più specificamente la prestazione di un solo lanciatore, ed è uno dei momenti attraverso il quale si raggiunge il perfect game.

La voce di Wikipedia dev’essere stata scritta da un arbitro del baseball: a farla più semplice, si può dire che un no-hitter è una partita che un lanciatore conclude senza che gli avversari siano riusciti mai a battere uno dei suoi lanci. Domenica scorsa Carlos Zambrano ha portato a casa un no-hitter contro gli Houston Astros, il primo per i Chicago Cubs in trentasei anni. È stato anche il primo no-hitter della storia da parte di un giocatore con la zeta. Il giorno dopo, il suo collega Ted Lilly che lo sostituiva ha mancato un no-hitter per un soffio, concedendo una battuta all’ultimo inning. Anche questo sarebbe stato la prima volta nella storia, due no-hitter consecutivi. Nel baseball, vanno matti per le statistiche.

Il lupino (Dosinia exoleta) è un mollusco bivalve della famiglia Veneridae.

Il lupino bianco (Lupinus albus L., 1753) è una pianta della famiglia delle Fabaceae.

Mc Guffin è un termine coniato dal celebre regista Alfred Hitchcock; con questo vocabolo si identifica un espediente attraverso il quale si fornisce dinamicità alla trama. Il Mc Guffin è un qualcosa che per i personaggi del film ha un’ importanza cruciale, attorno al quale si crea enfasi e si svolge l’azione ma che non possiede un vero significato per lo spettatore. Un celebre Mc Guffin è quello attorno al quale ruota il “mistero della valigetta” in Pulp Fiction: alla fine del film lo spettatore non sa cosa contenga la valigetta (che rappresenta il Mc Guffin), ma grazie a questo espediente il regista ha potuto giustificare diverse sequenze narrative.
Ciò che caratterizza il Mc Guffin rispetto ad un altro espediente narrativo è che non ha importanza cosa l’oggetto in questione sia specificamente, poiché non ha altro impatto sulla storia oltre a quello di fornire ai personaggi una motivazione – tanto che, come nel già citato Pulp Fiction oppure nel film Ronin, la sua vera natura a volte non è nemmeno svelata.
Nel famoso libro-intervista Il cinema secondo Hitchcock il regista spiega cosa sia il Mc Guffin con questo esempio:
“Si può immaginare una conversazione tra due uomini su un treno. L’uno dice all’altro:-Che cos’è quel pacco che ha messo sul portabagagli?-. L’altro:-Ah quello, è un Mc Guffin-. Allora il primo:-Che cos’è un Mc Guffin?-. L’altro:-È un marchingegno che serve per prendere i leoni sulle montagne della Scozia-. Il primo:-Ma non ci sono leoni sulle montagne della Scozia-. Quindi l’altro conclude:-Bene, quindi non è un Mc Guffin! Come vedi, un Mc Guffin non è niente”

Il principio lectio difficilior potior (Latino) alla lettera la lettura più difficile è la più forte è un principio di critica testuale.
Laddove manoscritti differenti di uno stesso testo sono in conflitto su una determinata parola, il termine più insolito è quello più probabilmente fedele all’originale. Il presupposto è che per i testi giunti attraverso la tradizione manoscritta, i copisti sostituissero più spesso le parole difficili ed i detti inusuali con quelli più correnti e comuni, di quanto si sia realizzato il fenomeno contrario.

Come ricorderete, è centrale nei Malavoglia il fallimento di un “negozio di lupini”, nel senso del commercio dei suddetti:
“Padron ‘Ntoni adunque, per menare avanti la barca, aveva combinato con lo zio Crocifisso Campana di legno un negozio di certi lupini da comprare a credenza per venderli a Riposto, dove compare Cinghialenta aveva detto che c’era un bastimento di Trieste a pigliar carico. Veramente i lupini erano un po’ avariati; ma non ce n’erano altri a Trezza, e quel furbaccio di Campana di legno sapea pure che la Provvidenza se la mangiava inutilmente il sole e l’acqua, dov’era ammarrata sotto il lavatoio, senza far nulla”
A scuola, quando si studiava e si leggeva I Malavoglia, nessuno aveva mai il coraggio di chiedere cosa fossero, ’sti lupini. O alcuni lo davano per scontato, come gli stessi professori a cui non era mai stato detto né insegnato, ma si attenevano alla loro conoscenza della lingua. E così, in gran parte del paese si riteneva ovvio che si trattasse di quei legumi gialli che si consumano alle sagre (dalle parti mie in Toscana, assieme a quell’altro fenomeno culturale-botanico chiamato “le seme”, o “le seme del Chiellini”), o alle partite di calcio, e vengono tenuti a mollo in secchi d’acqua dal venditore. E che lasciano alle spalle del consumatore mucchi di bucce mollicce di cui poi si deve occupare l’addetto alle pulizie.
Ma in altre parti del paese (alcune regioni centro-meridionali), al nome di lupini corrispondono certe specie di vongole, molluschi bivalve (Dosinia lupinus). Wikipedia ha voci per ambedue, e chiama i primi “lupini bianchi”. E quindi tali venivano ritenuti i lupini della Provvidenza, quando se ne parlava a scuola.
A questo punto starete già tutti ridendo, ognuno della versione che ritiene errata, certi di aver sempre saputo cosa fossero, i lupini. Macché legumi! Macché vongole! Salvo quelli, e si è scoperto che c’erano, che si erano immaginati piccoli cuccioli di lupo. Ipotesi suggestiva, ma diciamo più improbabile (c’è anche una minoranza che li immagina pesci, e persino i casi di fucili “tipo lupare”, e un “maglioncini a lupetto”, a leggere su internet).
Andiamo avanti. A un certo punto, le due ipotesi si sono confrontate e scontrate, per qualche accidentale conversazione dedicata ai ricordi di scuola, o va’ a sapere. E internet ha poi esaltato questi confronti. Si trovano in diversi luoghi del web accese discussioni sul tema. È comune a tutte una quasi unanime sicurezza della propria versione. Macché legumi! Macché vongole!
Dalla parte dei legumi, per così dire, stanno i seguenti elementi: maggior quantità di sostenitori (il rapporto è di circa due a uno), e implausibilità del fatto che dei molluschi possano essere “fradici” (e però qualcuno lo sostiene sinonimo di “marci”, indipendente dall’accezione liquida).
Quel disgraziato di Verga, peraltro, per tutto il libro non ci dice mai niente di questi dannati lupini, se non che fossero “avariati” e “fradici”.
Dalla parte dei molluschi sta, mi pare, un solo elemento: che sia più realistico che una barca che va per mare carichi delle vongole piuttosto che dei legumi (e però Verga spiega che erano caricati solo per trasportarli da un posto all’altro, non “pescati” o raccolti in mare). Se non vogliamo metterci anche la lectio difficilior. Ma forse è troppo difficilior che si portassero delle vongole dalla Sicilia fino a Trieste.
Il risultato, a mio giudizio, è che dentro il libro non esistano elementi che definiscono esattamente cosa siano, i lupini in questione. E questo mi pare già notevole, indipendentemente dalla maggior plausibilità, a conti fatti, della tesi legume. I lupini sono probabilmente dei legumi, ma sono soprattutto dei McGuffin.
L’altra cosa notevole, culturalmente, è che su uno dei caposaldi tradizionali della nostra cultura scolastica e della nostra tradizione letteraria, tutti (compreso il corpo insegnante nella sua totalità, stando a una mia indagine sommaria) siamo sempre stati solidamente convinti di una cosa che invece è – come detto – quantomeno misteriosa e controversa, oppure non abbiano mai capito di cosa si parlasse. Non so se con la Gelmini si facciano ancora i Malavoglia – la regressione cronologica lo suggerirebbe, ma è pur sempre roba di meridionali –, forse una circolare ministeriale sui lupini potrebbe aiutare.

Altre voci che ho cercato questa settimana:

Forza di Coriolis
Amazon Mechanical Turk
Danielle Steel
Calamite da frigo
Celesta
Sean Wilsey
Tumblelog
Roberto Colaninno
Bequadro
More cowbell

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