L’elitismo è una teoria politica basata sul principio minoritario, secondo il quale il potere è sempre in mano ad una minoranza. Si fonda sul concetto di élite, dal latino eligere, cioè scegliere (quindi scelta dei migliori). Termini interscambiabili con quello di élite sono aristocrazia, classe politica, oligarchia.
L’elitismo è l’idea o la pratica per cui gli individui che sono considerati membri di un’élite – un gruppo selezionato di persone con capacità personali superiori, dotate di intelletto, ricchezza, competenza o esperienza, o altri attributi particolari – sono quelli le cui opinioni su una materia devono essere prese in maggior considerazione o aver maggior peso; i cui giudizi o azioni sono più probabilmente costruttive per la società; o le cui straordinarie abilità o saggezze li rende più adatti al governo. Alternativamente, il termine elitismo può essere usato per descrivere una situazione nella quale il potere è concentrato nelle mani di un’élite.
Possono avere significato contrario di “elitismo” i termini “antielitismo”, “populismo” e la teoria politica del “pluralismo”.
La crescita di una discussione libera sull’antielitismo – uno dei tratti sociopolitici più importanti dei nostri tempi – è complicata da diversi fattori, anche linguistici. Quelle qui sopra, per esempio, sono le voci di Wikipedia italiana e inglese dedicate al termine elitismo. L’accezione negativa del termine, come si vede, prevale nella voce italiana (alternativa a quella di “elitarismo”). La difficoltà a parlare dell’antielitismo, che molti commentatori americani stanno coraggiosamente cercando di superare, nasce dal successo dell’antielitismo stesso. Ovvero di quell’atteggiamento culturale e politico vincente che suggerisce che le persone “normali”, quelle “come noi”, quelle “che ci somigliano”, siano più adatte a ruoli di potere e responsabilità che non quelle competenti, preparate o esperte sulle questioni che riguardano quei ruoli. In America la candidatura di Sarah Palin ha fatto saltare il tappo della sopportazione di questo andamento, e molti articoli “in difesa dell’elitismo” sono già usciti, sfidando il discredito e l’impopolarità del termine. Le battute della Palin sull’essere preparata sulla politica estera perché da casa sua vede la Russia, hanno fatto da miccia. In Italia il coraggio di sfidare l’antielitismo ce l’hanno in pochissimi: ha scritto qualcosa Massimo Gramellini la settimana scorsa. Ma gli esempi del suo essersi profondamente radicato anche qui non mancano: da Di Pietro che sa guidare il trattore a tutto il repertorio domestico-rurale dei leader della Lega, e ancora (fino a Fassino che va da Maria De Filippi, per cercare di sembrare “una persona qualsiasi”). Il problema è che l’elitismo non è di per sé buono o cattivo: dipende dai criteri con cui sono scelte le élites. E in Italia queste scelte non hanno un buon curriculum: si prevedono tempi duri per chi vorrà far tornare quelli molto bravi e capaci a occuparsi delle cose che contano.