Premessa: io non guardo mai i telegiornali. A quell’ora di solito sto mangiando in piacevoli compagnie familiari, o facendo altro. E poi penso non ci sia più bisogno di telegiornali per chi frequenta la rete con l’assiduità con cui la frequentiamo ormai in moltissimi. Infatti mi è evidente, quando li guardo, come la ricerca di un pubblico in via d’estinzione porti i telegiornali verso contenuti a metà tra lo strano-ma-vero e l’allarmismo genere terrorizziamo-le-vecchiette: il target immaginato è poco istruito, poco informato, acritico e inerme di fronte a quello che gli viene raccontato. Con l’eccezione della parte dedicata alla politica che soggiace invece a criteri marchettari insuperabili ed eterni.
Stasera ho guardato un quarto d’ora di Tg5 e di Tg1, alternando. Penso che facciano schifo, e che siano spettacoli deprimenti per chiunque abbia cara la sopravvivenza intellettuale e culturale del suo paese, nonché la dignità del lavoro giornalistico. Penso che quelli che sostengono che i reality rincoglioniscono gli italiani farebbero meglio a preoccuparsi dei Tg. Ho assistito a una successione di servizi a base di gang di cinesi (due casi che non c’entravano niente l’uno con l’altro, in uno dei quali i cinesi in questione erano stati ammazzati), cronacaccia nera voyeuristica tipo Garlasco o Perugia, truffe nelle slot machines (truffe di cinesi) e bullismo scolastico. Tutto raccontato con ogni cliché giornalistico e linguistico immaginabile, una mediocrità narrativa che nemmeno nel giornalino del liceo.
Il Tg5 si distingueva, ma anche il Tg1 non era da meno. E entrambi hanno mostrato le immagini di quattro pirla in una scuola che hanno cercato di dar fuoco a delle suppellettili nella loro aula in assenza dei professori. Senza peraltro riuscirci, quindi il terrorismo dei tg si è dovuto concentrare sul fatto che una di queste suppellettili fosse una croce di legno appesa nell’aula (trattata al pari di una lavagna, nell’intenzione dei pirla: di legno e quindi infiammabile). Benché fosse palesemente una nuda croce, i giornalisti su entrambe le reti lo hanno ripetutamente definito “il crocefisso” (secondo me non strumentalmente: è che manco sanno cosa sia, un crocefisso), mentre persino i pirla nel video la chiamavano più oculatamente “la croce”: intervistando poi dotti commentatori sulla spregevolezza di bruciare il crocefisso (un simbolo è un simbolo, ma non è la stessa cosa accanirsi su una croce di legno o sull’immagine di una persona sofferente e moribonda). Al Tg5 hanno anche ripetutamente insistito sull’inaudita gravità dell’azione rispetto ad altre, come se cercare – invano – di dar fuoco a una croce di legno debba ritenersi peggio che picchiare un compagno disabile, o molestare una professoressa.
Per quel che riguarda me, mi rassicura sapere che difficilmente mi ricapiterà presto di guardare un telegiornale (l’ultima volta era stato un Tg2, qualche tempo fa, con identico raccapriccio): mi resta solo la curiosità di sapere se nessuno si vergogni un po’ del posto dove sta, là dove li fanno.
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