Più superiorità morale per tutti

La settimana scorsa sono capitate due piccole cose in tv di cui si è parlato molto e che permettono una riflessione comune, con le loro differenze.
Una è il sincero fastidio da signore beneducato con cui Ferruccio De Bortoli ha indicato come sommo esempio di scarso senso del ruolo la foto in cui Berlusconi stava accanto a “uno con la maglietta Song’e Napoli”.
L’altra è l’abbandono di uno studio tv da parte di Livia Turco dopo una lite con Fabrizio Corona, ma soprattutto il suo (di lei) aver rivendicato la legittimità di non sapere fino a poco prima chi fosse lo stesso Corona.

Tra le persone equilibrate di cui ho letto e sentito il parere, i due accadimenti hanno suscitato due conviventi reazioni. Una soldarietà umana per il fastidio nei confronti delle pagliacciate berlusconiane e del sottosuolo che ha dato fama a Corona. Ma anche una desolazione per la mancanza di contatto con il paese implicata dalle due reazioni.

Qui le due storie hanno qualche differenza, non fondamentale per il mio ragionamento, ma cerco di evitare di subirne contestazioni conseguenti. Nel caso di De Bortoli la battuta segnala un suo legittimo modo di vedere il mondo, un mondo in cui auspica che il Presidente del Consiglio manifesti il suo rapporto col paese e con le sue necessità in modi meno clowneschi e demagogici, e più misurati ed esemplari. Credo anche che quella di De Bortoli volesse essere una battuta più estetica che sostanziale, ma in quel contesto e con quell’interlocutore è diventato un grande assist all’interlocutore. Nel caso di Livia Turco invece la sua ignoranza ottiene tutta la simpatia e il rispetto del mondo se si pensa a Livia Turco come a una signora perbene che si occupa di cose più serie, ma è stata invece molto criticata come sintomo di un’incapacità di capire il paese e il tempo in cui si vuole far politica.

La questione è abbastanza complicata, e molte opinioni tranchantes in merito sono evidentemente figlie della diffusa tendenza all’opinione tranchante. Come si capisce, io ho una certa solidarietà per entrambe le reazioni, ma capisco le obiezioni. Anche se penso che sarebbero state più gravi a parti invertite. Un politico che manifesti disprezzo per parte dei cittadini o un giornalista che non conosca i personaggi più popolari e seguiti dalla cronaca e dai lettori. Il contrario, mi sembra tollerabile. Livia Turco non si candida a guidare il paese, e la sua risposta per cui lei si occuperebbe d’altro è alla fine plausibile, se uno ci pensa: credo che ci siano molti ministeri che uno potrebbe guidare senza sapere chi sia Fabrizio Corona. Certo, c’è chi dice “ma è un sintomo di incompetenze”: ma in fondo mi chiedo perché. Uno può anche non sapere certe cose e altre sì, e credo sia il caso di Livia Turco. L’obiezione mi pare più figlia di un antintelletualismo di crescente successo, e mi chiedo quanti si sarebbero inalberati se il ministro Turco avesse detto di non conoscere Fabio Fazio.

Comunque, in realtà non sono questi i punti che mi interessano di più. Il punto è che queste reazioni e obiezioni rischiano nell’ebbrezza di confondere la conoscenza delle cose con il valore delle cose (caso Turco) o la critica delle cose con l’indifferenza alle cose (caso De Bortoli). Perché è vero che Corona esiste e bisogna fare i conti con il suo successo, ed è vero che Berlusconi vince proprio perché si mostra superficialmente e spesso volgarmente vicino alla gente, e ne fa gran demagogia. Ed è vero che queste cose vanno analizzate e tenute in gran considerazione, sia per fare politica che per fare i giornali. Ma la soluzione non è assecondarle, non è imitarle, non è esaltarle come novità apprezzabili in quanto novità.

Quando Berlusconi dice “non posso non essere me stesso”, e si porta via tutto il loggione (in un’esaltazione dell’essere se stessi che guasta il mondo da millenni), la risposta giusta sarebbe “e allora faccia un altro mestiere”. La risposta giusta sarebbe “però ci deve provare: è il nostro Presidente del Consiglio”. E l’atteggiamento giusto da parte di un’opposizione degna dei suoi fini e dei suoi mezzi sarebbe di smontare i meccanismi che premiamo chi è “se stesso” (e condannano chi cerca di essere migliore), e rendono modello di successo le peggiori cialtronaggini (che non sono la foto col tipo con la maglietta, ovviamente), in quanto sincere cialtronaggini. Le cose vanno capite, e cambiate. Non capite e imitate.

Come dice Zoro oggi.

Senza indulgere nella “solita fiaba autoconsolatoria”, sarebbe comunque impresa meritoria provare davvero a “riforgiarle le coscienze”; in questo non ci sarebbe niente di male, anzi, la si può considerare legittima mission aziendale di ogni Partito con un progetto di società da proporre e provare a realizzare.

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