Una versione meno estesa di questa intervista con Paolo Attivissimo è su Wired di questo mese
Cominciamo dalla vita “normale”: che lavoro fai? Cosa scrivi sotto “professione”?
Il mio primo lavoro (in termini di reddito e tempo) è il traduttore tecnico nel ramo brevettuale; il mio secondo è il giornalista informatico. Per cui formalmente scrivo “traduttore tecnico, giornalista informatico”. Ma…
Ma?
… di solito non sono formale, per cui scrivo solo “Giornalista informatico, cacciatore di bufale”.
Beh, anche “traduttore tecnico nel ramo brevettuale” già non è normalissimo: per chi lo fai?
Top. Secret.
Allora ditelo, c’è del torbido anche lì? Vedi che hanno ragione quelli che dicono che sei al soldo dei poteri cospiratori?
No, è che ho degli obblighi di riservatezza, ma ti posso dire che si tratta di uffici di consulenza brevettuale.
Ma la traduzione “nel ramo brevettuale” ha un suo specifico? Non è traduzione tecnica come altre?
Ha un gergo e una sintassi tutta sua. Non ci s’improvvisa, c’è un manuale di stile interminabile e poi si ha a che fare con persone che spesso non hanno, come dire, una visione chiara dell’italiano. Sono tecnici, non letterati. E si sente. Ma mi pagano per districarmi nella Giungla delle Secondarie Pendenti.
“La giungla delle secondarie pendenti” è un meraviglioso titolo di romanzo. Ma sto divagando. Quanti anni hai?
Sono nato nel 1963 (tira fuori la calcolatrice)… oh cielo. 45. 46 a settembre.
E come sei finito a fare il giornalista informatico? E dove lo faI, prima che sul blog?
E’ una storia lunga: traducevo libri per un editore italiano (Apogeo). L’editore un giorno mi dice “Perché non provi a scriverne uno tu?” Io, lusingatissimo, abbocco. Poi lui prosegue: “… così risparmiamo i soldi dei diritti di traduzione”.
Hanno scelto di valorizzarti…
Un po’ meno lusingato, ho accettato lo stesso: scrivere è infinitamente più appagante e creativo che tradurre (dico nel ramo tecnico; i traduttori letterari e cinematografici — quelli bravi, intendo — sono veri e propri artisti), e mi dava un’occasione di sfogare la voglia di scrivere. Abbiamo fatto l’esperimento (un libro su Word, quello che all’epoca si chiamava Winword) ed è andato bene. Così ho cominciato a scrivere libri. Una dozzina.
E hai scalato le classifiche?
No, ma quando ho pubblicato “Internet per tutti” è arrivato l’invito della Gazzetta dello Sport a scrivere una serie di articoli per introdurre i lettori al nascente sito del giornale. Così mi sono ritrovato giornalista informatico. Poi da lì è nata la collaborazione con la RSI (Radiotelevisione Svizzera di lingua Italiana) e con altre testate online e cartacee. Ed eccomi qui a condurre settimanalmente un programma d’informatica alla radio.
E quando hai cominciato a incuriosirti alle bufale e alle teorie dei complotti?
Credo da sempre: i misteri mi hanno intrigato sin da bambino, quando ho divorato tutti i libri di fantarcheologia di Peter Kolosimo e Bermuda il Triangolo Maledetto di Charles Berlitz. Vedevo Uri Geller in televisione che piegava i cucchiai, i guaritori filippini che operavano a mani nude… e poi ho visto Silvan fare la stessa cosa. E ho scoperto che erano fandonie fabbricate per fare soldi.
Tu ora vuoi dirmi che Uri Geller non piegava davvero i cucchiai?
Geller piegava sì i cucchiai. Ma non con il pensiero.
Con le mano?
Mani, angoli di tavoli, incastri nelle gambe delle sedie, incastri con altre posate, sostituzione con cucchiai preparati prima… il repertorio del prestigiatore è vario. Poi ci sono i cucchiai “magici”. Costano, ma permettono anche a un dilettante di piegare davvero un cucchiaio senza toccarlo. Si comprano nei negozi per prestigiatori.
Va’ avanti…
Forse per reazione ho cominciato a studiare la scienza vera e a informarmi sui trucchi che usavano questi ciarlatani. Ma era una passione puramente personale. Quando ho scritto “Internet per tutti” ho incluso una pagina con le quattro o cinque bufale più ricorrenti in Internet per mettere in guardia i primi navigatori di allora. Non l’avessi mai fatto: hanno cominciato ad arrivarmi mail che chiedevano lumi su altre storie che giravano in Rete.
Per un po’ sono riuscito a rispondere personalmente, poi ho aperto una pagina Web per ospitarvi le spiegazioni delle storie più diffuse, in modo da non dover ripetere a ciascun lettore la stessa storia.
Ha funzionato?
Non è andata come pensavo. Invece di ridurre il carico di lavoro, la pubblicazione di quell’embrione Web del Servizio Antibufala lo ha fatto aumentare. “Bravo, Paolo”, mi scrivevano, “hai indagato su questa e questa e quella; adesso che ne dici di quest’altra storia? E questa? E che mi dici di questa?”.
E tu ci sei cascato.
Io non so resistere a una storia intrigante, vera o falsa che sia, e così sono arrivato oggi a oltre 330 indagini sulle storie strane che girano in Rete.
Quindi oggi l’attività “antibufala” è ancora un hobby, un side-project?
E’ diventato un lavoro, dato che fa parte integrante della mia trasmissione radiofonica ed è comunque uno dei temi più richiesti per le conferenze e per le consulenze per programmi radio e TV. Ma ho la fortuna di poter scegliere quasi sempre le storie da indagare e quando indagarle, per cui ha ancora il sapore piacevole dell’hobby.
Oltre al blog, l’attività antibufala ti richiede altri impegni concreti? Incarichi, richieste?
Di richieste ne ricevo tante, molte più di quante riesca ad evadere. L’impegno concreto è quello del tempo per la ricerca, per le telefonate di contatto con i protagonisti (o le vittime) degli appelli e per la discussione con gli increduli che spesso sopportano male l’idea di vedersi sgonfiare le proprie visioni del mondo e di scoprire che quella che loro pensavano fosse un’azione benefica a basso costo è in realtà una bufala nella quale sono incappati (e di cui spesso non si libereranno più, se l’hanno “firmata” mettendovi in calce i propri estremi).
Ti hanno mai pagato per fare l’investigatore?
Pagato? Sì, qualche volta. Lo fanno alcune emittenti, in particolare per le grandi bufale, come le teorie di complotto sull’11 settembre o lo sbarco sulla Luna; ma lo fanno anche i privati, tramite le micro-donazioni online. Non ho un tariffario da detective, però.
Quali sono i temi di maggior successo tra le dietrologie in rete?
Sicuramente l’11 settembre e, vista la ricorrenza del quarantennale, lo sbarco sulla Luna. Ma affiorano periodicamente i catastrofismi intorno al 2012 e i Maya, il paranormale, i cerchi nel grano, le “scie chimiche”, a seconda di come vengono lanciati dai vari programmi televisivi, con il loro corredo di libri e DVD da vendere. La paura, l’intrigo e il complotto rendono, alimentati da un clima di sfiducia verso tutto e tutti: si cerca una grande teoria unificatrice che dia senso all’esistenza, e molti la trovano nel Grande Vecchio che tirerebbe le fila di tutto. Dan Brown docet: ma lui, perlomeno, ha il buon gusto di precisare che si tratta di un romanzo, non di un libro di fatti. O almeno questo è quello che vogliono farci credere…
C’è più di vero nella teoria sulle scie chimiche o nel complotto sull’11 settembre?
Decisamente nell’11 settembre: lì almeno un complotto vero c’è stato, quello dei dirottatori. E ci sono delle zone grigie che andrebbero investigate; ma non è possibile perché i complottisti fanno troppo baccano. E’ come studiare Mozart in una segheria. Le “scie chimiche”, invece, sono una fandonia totale, che trovo interessante proprio perché assurda: m’intrigano i processi mentali che possono spingere una persona a credere che ogni giorno migliaia di aerei, pilotati e mantenuti e riforniti da decine di migliaia di persone, spicchino il volo e spruzzino veleni nell’aria e nessuno mai spifferi nulla o si tradisca. Uno dei più presenzialisti fra i sostenitori di questa teoria, oltretutto, sostiene che quest’immenso, costosissimo complotto, che va avanti da decenni, fa crescere peli di plastica sottopelle, influenza il clima, consente il controllo mentale delle popolazioni… eppure si può contrastare semplicemente con l’alga spirulina che si compra in erboristeria. Ma allora è il complotto dei cretini? Affascinante.
Quello che tutti chiedono è: ma chi è che si fa fregare davvero dalle truffe online?
Gente di ogni genere, di ogni ceto sociale e di ogni preparazione scolastica: l’ingenuità non conosce barriere. Percentualmente i truffati non sono tantissimi, ma sono comunque un numero sufficiente ad alimentare questo settore del crimine organizzato. Del resto, il truffatore ha di norma costi di gestione bassissimi e lavora col metodo della pesca a strascico: lanciando milioni di esche, è statisticamente sicuro che qualche pesce abbocchi.
Anche quelle che sembrano così maldestre?
Sono truffe maldestre per i nostri occhi di internauti smaliziati, ma non per chi è arrivato da poco in Rete. Inoltre occorre tenere presente che giocano moltissimo sull’emozione positiva o negativa. Possono far leva sulla nostra avidità, e allora nasce la truffa “alla nigeriana”, dove ci viene proposto un affarone convenientissimo se solo anticipiamo qualche soldo per le spese; o sulla nostra solidarietà, quando ci propongono di aiutare inesistenti bambini malati. L’emozione ci fa mettere da parte il raziocinio, e così abbocchiamo, ignorando tutti i segnali evidenti della natura truffaldina dell’esca.
Quali sono le storie più interessanti e originali in cui ti sei imbattuto?
Sono quasi tutte interessantissime, specialmente quelle che rivelano risvolti inaspettati o divertenti: le prime che mi vengono in mente sono quelle dei lemming che in realtà non si suicidano in massa come vuole il mito (è una bufala inventata dalla Disney), l’appello per combattere il diidrogeno monossido che è stato trovato persino nei neonati in dosi massicce (per forza, è la formula chimica dell’acqua), l’appello di Valentin Mikhaylin (lo studente che da anni chiede aiuto via mail per non morire di freddo a Kaluga, in Russia, ma è in realtà un truffatore ben conosciuto sul posto) con conseguente serie di attacchi informatici ai danni del mio sito, il “cucciolo di drago” scoperto sotto formalina in un museo (gabbò anche il buon Giacobbo di Voyager e si rivelò poi essere un’abile falso per reclamizzare un libro sui draghi)… la lista è lunga.
E quelle su cui ti sei gettato con totale sicurezza fossero false, e invece forse…?
Quando vidi in una mail indignata l’immagine di un cartellone pubblicitario di una società di spedizioni che diceva “il vostro pacco è in buone mani” e raffigurava un uomo che teneva un “pacco” di tutt’altro genere, pensai subito al fotomontaggio arguto; ma emerse che era un cartellone vero. Quando una rivista di alta fedeltà annunciò rincari dell’8000% sulle tasse sui CD vergini, pensai a una bufala, ma la notizia si rivelò autentica. L’allarme per le euromonete che causavano allergie per il contenuto di nichel mi parve troppo assurdo (possibile che nessun ente preposto avesse anticipato il problema?), ma si rivelò autentico. La realtà è spesso più incredibile della fantasia.
Non hai paura di lasciarti trascinare anche tu da un fanatismo anti-dietrologo?
No. Ci pensano i lettori a tenermi a freno. E poi so bene che i complotti esistono: il mio obiettivo non è di smentirne l’esistenza, ma di scremare quelli reali da quelli immaginari, e di offrire a tutti gli strumenti per fare altrettanto. I complotti fasulli seguono degli schemi piuttosto precisi e ripetitivi: una volta capiti, è abbastanza facile fiutarne le trappole.
Ma i tuoi interventi ai raduni di matti non sono un po’ grilleschi e a rischio crociata?
Certamente: ne ho fatti un paio per saggiare in prima persona l’atmosfera di questi raduni e per divertirmi in compagnia degli amici che hanno partecipato con me, ma non intendo farne altri, almeno per un po’. Del resto, era l’unico modo per dialogare faccia a faccia con i vari complottisti, che altrimenti rifiutano ogni dialogo con me: chissà perché, scappano terrorizzati. Ma io non li mangio mica, giuro!
E com’è andata?
E’ stata un’esperienza interessante e la consiglio a tutti, perché ci si rende conto di quante stupidaggini vengano dette in questi convegni autocelebrativi, dove non viene mai invitata l’altra campana. Soltanto assistendo di persona si riesce a cogliere l’ansia paranoica ossessiva, l’atmosfera da fantozziana setta segreta, l’atteggiamento da jihadisti della domenica che caratterizza tutti questi movimenti “alternativi”. E’ gente molto triste, convinta che il mondo finirà nel 2012, che le scie degli aerei ci uccidono, che tutti ce l’abbiano con loro, e quant’altro. Gli scettici, invece, sono allegri: non odiano nessuno e hanno fiducia che il mondo sia comprensibile a chi lo esamina con attenzione e metodo scientifico.
Il complottismo prospera di più ultimamente o la dietrologia e il sospetto stanno nella natura umana da sempre?
Più che dietrologia e sospetto, credo sia il desiderio di semplificazione e di ordine ad alimentare il complottismo. Le teorie di complotto evitano la fatica di dover studiare, capire, approfondire. “L’11 settembre? E’ stata la CIA, fine della storia. Perché sono crollate le Torri Gemelle? Ci hanno messo le bombe, è ovvio.” dice il pensiero cospirazionista. Non gli serve capire l’ingegneria strutturale. Nulla avviene per caso nel suo mondo: tutto ha un ordine. E il complotto gli offre una scusa facile per i propri fallimenti: non è lui che è incapace, sono gli altri che ce l’hanno con lui. E al tempo stesso offre una visione salvifica della propria esistenza. il complottista si vede come un paladino della verita, un avanguardista, un baluardo della società contro i cattivoni di turno. Fa proseliti, crea interesse intorno a sé, raduna seguaci che lo stimano e lo venerano. E’ gratificante.
Una vecchia storia…
Aspetta, però: il complottismo è anche diventato più diffuso. Forse perché i media lo alimentano (i complotti fanno audience, sono storie intriganti; la realtà spesso non è avvincente, e pochi la sanno raccontare in modo che lo diventi), forse perché più il mondo diventa complesso e più tendiamo a rifugiarci nell’apparente semplicità del messaggio complottista. Forse il cospirazionismo sta diventando una sorta di religione new age: di certo ne condivide molti aspetti psicologici.
Quanta parte ha, nella costruzione di tesi e dietrologie, il semplice sospetto, e quanta l’artificiosa e deliberata costruzione di una bufala?
Raramente le dietrologie sono costruite a tavolino. Quelle che prosperano lo fanno perché trovano un substrato psicologico fertile di sospetto. Un esempio per tutti: lo sbarco sulla Luna degli americani è al centro di una teoria di complotto. Il tentativo lunare russo no. Anzi, molti non sanno neppure che ci fu. Come mai? Forse perché c’è un diffuso antiamericanismo (meritato o meno) mentre manca un “antisovietismo” (addirittura non esiste neppure la parola). Lo stesso vale per le teorie sull’11 settembre. Le teorie sull’AIDS o l’influenza suina come malattie inventate in laboratorio prosperano grazie alla diffidenza verso le società farmaceutiche (che effettivamente sono state colte spesso a combinare sconcezze).
E internet serve più a diffonderle o a smentirle?
Per ora le diffonde più di quanto le smentisca. Ma offre anche lo spazio per le smentite dettagliate e rigorose che i media tradizionali non vogliono fare. Anzi, potrei dire che questo è il vero complotto: i media sono in combutta per continuare a propinarci storie incredibili perché fanno audience e rimbambiscono, e lo sappiamo tutti che un popolo rimbambito è più facile da gestire.
Hai mai preso cantonate che hai dovuto correggere e smentire? Hanno mai avuto ragione “loro”?
A parte i casi che ti ho citato prima di storie che ho ritenuto inizialmente fasulle, no. Ho dovuto correggere alcuni dettagli di alcune indagini, man mano che emergevano nuove informazioni, questo sì. Ma finora m’è andata piuttosto bene. Sono stato cauto.
Dove vivi?
Su Internet :-)