La domanda se l’opinione pubblica, indipendentemente dalla sua composizione e dal suo orientamento, sia sempre da rispettare e obbedire non può che ammettere un’unica ragionevole risposta. La teoria secondo la quale «la voce del popolo è la voce di Dio» può essere accettata soltanto con forti riserve, poiché la pubblica opinione è un’entità variabile, che spesso, come afferma Jefferson, «cambia alla velocità del pensiero», e che dunque non può aver sempre ragione. Era forse «la voce del popolo, voce di Dio» a sostenere la schiavitù umana in una Repubblica votata alla libertà?
È lampante che spesso il sommo dovere della stampa è contrastare l’opinione pubblica. James Bryce ha veridicamente affermato che «le democrazie avranno sempre demagoghi pronti ad alimentare le vanità, a solleticare le passioni e a enfatizzare i sentimenti del momento. Ciò di cui hanno bisogno sono uomini capaci di nuotare controcorrente, di denunciare gli errori commessi, di insistere con maggior forza su un problema quanto più risulta sgradito»
(Joseph Pulitzer – quel Pulitzer – appena pubblicato da Bollati Boringhieri,
in un’anticipazione su Repubblica di oggi)