L’agitazione intorno al fumetto che prende in giro Giorgia Meloni è una delle molte sovreccitazioni sopra le righe che tocca vedere ogni giorno. E persino questa successiva considerazione è ormai parte dell’arredamento.
Però leggo sul Corriere la sintesi della vicenda (del fumetto ho visto qualche immagine online, mi fido dei giudizi che leggo in giro) e mi colpisce l’argomento usato dal Secolo – con apparente efficacia – per contestare una contraddizione:
«E noi chiediamo: se fosse successo alla Bindi?»
«Fosse stata Rosy Bindi la protagonista de La Ministronza – scrive il quotidiano -, Repubblica avrebbe già lanciato una raccolta di firme online, le donne del Pd avrebbero presentato un’interrogazione parlamentare e qualcuno, a sinistra, avrebbe già chiesto il sequestro del libro. Speriamo che non lo faccia nessuno a destra»
Ora, non rispondo per Repubblica. Ma la differenza tra un presidente del consiglio che si rivolge volgarmente e offensivamente a una sua avversaria politica e un libretto di fumetti pubblicato da una sconosciuta casa editrice e firmato da un anonimo disegnatore (sono dati di fatto, non voglio essere offensivo con nessuno) dovrebbe essere palese. Al Secolo sono in gamba abbastanza da scrivere che sarebbe sbagliato chiedere censure sul libro: lo siano anche per capire che è fesso persino discuterne. L'”imbarbarimento” non si manifesta nell’underground sovversivo e dissacrante della satira di nicchia: lì c’è sempre stato, e che una classe politica se ne senta minacciata e corra alle dichiarazioni la dice lunga sulla bassa considerazione di sé che ha questa classe politica. O pensate che un analogo libretto pubblicato in America su Hillary Clinton vedrebbe mobilitarsi tutta la politica nazionale?
E quindi la risposta alla domanda del Secolo è: “se fosse successo alla Bindi niente. Ce ne saremmo fregati. Ci mancherebbe”.