Oggi Repubblica dedica tre pagine di R2 al “tramonto del tuttologo”, riassumendo sotto questo titolo un lungo articolo pubblicato su “Intelligent life” (non sull’Economist, come dice erroneamente il sommario). La tesi originale è interessante ma messa così pare controcorrente: diciamo da tempo che internet e l’abbondanza di informazioni hanno diminuito le competenze specializzate e ci hanno reso tutti tuttologi. La contraddizione nasce in realtà dalla traduzione di “polymath” con “tuttologo”. In italiano il tuttologo non è un intellettuale che sa molto di tutto (di questo parla Intelligent Life) ma uno che sa poche cose su tutto, e questa cultura generalista e superficiale gli permette di andare in tv, scrivere opinioni varie sui giornali, o fare un programma in radio e tenere un blog, come in casi più familiari. Quindi il tuttologo è stato in realtà esaltato e potenziato da internet, altro che scomparsa: avere un Bignami e un’opinione su qualunque cosa non è mai stato così facile, e le opportunità di intervenire su qualunque cosa non sono mai state così tentatrici.
L’era del tuttologo
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