Sulla eventuale violazione delle regole di presentazione delle liste è giusto protestare e spiegare quanto si tratti di una questione di sostanza inderogabile. Ma anche ricordare che i radicali non hanno la coscienza a posto, su questo genere di cose, come raccontano le cronache del 1994.
Nel breve volgere di tre settimane il governo ha reso due segnalati servizi a Marco Pannella ed ai suoi seguaci. Dapprima, ha deciso di elargire graziosamente a “Radio radicale” dieci miliardi dei contribuenti. Ora, con decreto che non ha precedenti in materia, ha concesso una proroga alla raccolta di firme per i referendum pannelliani, apertamente sfidando le norme che regolano la delicata tematica delle consultazioni popolari.
Se la prima decisione ha lo sgradevole sapore di una mancia dispensata nella speranza di togliersi dai piedi un postulante particolarmente querulo e molesto, la seconda iniziativa del governo suona invece assai più seria e assai più grave. Essa pone rilevanti questioni sotto il duplice profilo dell’opportunità politica e della legittimità costituzionale.
Il nostro ordinamento prevede precise regole, anche temporali, in materia di iniziative e di votazioni referendarie. Fra queste, in particolare, una stabilisce che la convocazione dei comizi elettorali per il rinnovo del Parlamento blocchi ogni tipo di iniziativa referendaria, raccolta delle firme compresa.
Così avrebbe dovuto essere anche questa volta se non che il governo – piegandosi alle proteste di Pannella – ha emanato uno specifico decreto di proroga che dovrebbe consentire ai proponenti dei referendum di raccogliere nel frattempo la quota minima di firme necessarie a rendere valida la loro iniziativa.
(Massimo Riva – con acrimonia sospetta, ma i fatti sono quelli – su Repubblica, 21 gennaio 1994)