Per la tendenza all’artificiosità della scrittura di cui abbiamo detto, l’esposizione di gran parte del giornalismo italiano è diventata barocca, ridondante, ricca di accessori superflui e dispersivi, e soprattutto impoverita dall’uso di una gran quantità di clichés, frasi fatti, espressioni stereotipate e meccaniche. Lavorare sulla scrittura, spesso vuol dire togliere, non aggiungere. Lavorare sulla buona esposizione dei fatti, spesso significa essere capaci di sparire in quanto autori, invece che di farsi notare. E lavorare sul buon uso della lingua significa scegliere ogni parola per il suo significato, e mai cedere a espressioni prefabbricate e rituali. Chi scrive per espressioni prefabbricate racconta realtà prefabbricate, non sa descrivere la diversità di ogni evento. Chi non sceglie le parole non racconta la realtà, racconta dei modelli preconfezionati e rigidi di realtà. Bisogna stare attenti a non perdere il significato delle parole, come mi fece notare Stefano Bartezzaghi in un mio ingenuo e imbarazzante uso dell’espressione “un culo strepitoso”, molti anni fa.