Tra molti esperti frequentatori di internet c’è un’opinione un po’ integralista sulla necessità di riportare e segnalare ogni successiva modifica compiuta sugli articoli pubblicati online, col rischio di appesantire e complicare la lettura. Simmetricamente, per molti giornali online la segnalazione di una correzione o di un aggiornamento viene vissuta come un’ammissione di errore o incompletezza, e questo spesso genera confusione tra i lettori delle versioni successive o di passaggi che si rivelano poi errati. L’approccio più sensato probabilmente sta da qualche parte nel mezzo: al Post indichiamo che è stato modificato o corretto qualcosa dopo la pubblicazione, quando questo qualcosa aveva generato qualche tipo di conseguenza, reazione, valutazione (o addirittura richiesta degli interessati), o quando è passato un cospicuo lasso di tempo prima dell’aggiornamento. Di solito segnaliamo di avere raccolto i suggerimenti dei commentatori, quando lo facciamo. Mentre cerchiamo di non complicare le cose o distrarre dal tema principale, quando ci limitiamo a correggere dei refusi o anche dei piccoli errori nel tempo immediatamente dopo la pubblicazione. Però è ammirevole il lavoro fatto da grandi giornali come il New York Times, in cui le risorse impiegate in controlli e riletture limitano al massimo refusi ed errori, e che quindi segnalano anche le rare più piccole correzioni successive (“una precedente versione di questo articolo indicava erroneamente Robert Mulligan come Richard Mulligan…”).