Arriva un momento

Giovedì scorso, dopo aver scritto qui una cosa sulla democrazia e altro, ho letto questo articolo di Thomas Friedman su temi simili: la leadership, la democrazia, la ricerca del consenso. Friedman dice alcune cose interessanti. Ma a una in particolare ho pensato molte volte: è l’eventualità che la tanto celebrata opportunità data da internet alla trasparenza dei comportamenti pubblici, alla espressione di opinioni e pareri, al disporsi alle critiche e all’avere uno spazio per farle, abbia generato non solo un benefico maggior controllo e giudizio su quei comportamenti e interventi, ma che quel controllo sia traboccato in una sorta di ricatto continuo e di sudditanza psicologica, incapace di convivere coi più minimi dissensi. Provo a dirlo con un periodare meno lungo e fumoso.

Mi pare che ora abbiano tutti paura di ogni più piccola e isolata critica. Mi capita spessissimo, da anni, di parlare con grandi giornalisti, direttori, imprenditori affermati, tutti agitatissimi dall’intensità e dalla violenza dei commenti online, o di quello che leggono su di loro su questo o quel blog. Mi pare che la mano sia continuamente trattenuta, nello scrivere, nel dire la propria, o nel fare la propria, dalla disabitudine a questa frequenza di feedback e giudizi, che intimorisce. E alla fine limita. Sono abbastanza certo che in altri tempi avremmo detto più liberamente e serenamente cose che oggi, se pure diciamo o scriviamo, condiamo con mille distinguo, premesse, contrappesi dialettici volti a parare preventivamente le obiezioni e le critiche che già ci figuriamo.

È un’arte, certo, che forse è bello sia coltivata: e aiuta di certo ad articolare meglio i propri pensieri, a filtrare quelli fragili, o frettolosi. Ma ho appunto l’impressione che ci sia un momento in cui le cose vadano poi fatte e dette, e che quel momento oggi sia procrastinato e allontanato proprio dai nuovi timori e insicurezze prodotti da questo sistema di confronto continuo. E che il timore del dissenso sia oggi l’altra metà della ricerca del consenso, di cui già altre volte abbiamo convenuto che oggi orienta esageratamente quasi tutto quello che facciamo. Dice Friedman:

No leaders want to take hard decisions anymore, except when forced to. Everyone — even China’s leaders — seems more afraid of their own people than ever. One wonders whether the Internet, blogging, Twitter, texting and micro-blogging, as in China’s case, has made participatory democracy and autocracy so participatory, and leaders so finely attuned to every nuance of public opinion, that they find it hard to make any big decision that requires sacrifice. They have too many voices in their heads other than their own.

Friedman anche, insomma, implica che questo grande fratello dal basso sia complice dell’incapacità contemporanea di scelte forti e importanti, dell’indebolimento delle leadership. Lo abbiamo a lungo celebrato come il “controllo” sul potere, senza accorgerci che celebravamo lo stesso termine che invece criticavano quando parlavamo del “controllo” del potere, in senso negativo. C’è una misura, in ogni controllo, e la si può superare, in ogni controllo.
Ma per come la penso io, è sempre il potere ad avere per definizione la scelta di quanto esercitarne come quella di quanto subirlo. Se le leadership oggi sono intimorite dal troppo controllo è un fenomeno interessante da descrivere, ma a superarlo devono essere le leadership.

Yes, it’s true that in the hyperconnected world, in the age of Facebook and Twitter, the people are more empowered and a lot more innovation and ideas will come from the bottom up, not just the top down. That’s a good thing — in theory. But at the end of the day — whether you are a president, senator, mayor or on the steering committee of your local Occupy Wall Street — someone needs to meld those ideas into a vision of how to move forward, sculpt them into policies that can make a difference in peoples’ lives and then build a majority to deliver on them. Those are called leaders. Leaders shape polls. They don’t just read polls. And, today, across the globe and across all political systems, leaders are in dangerously short supply.

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19 commenti su “Arriva un momento

  1. Francesco

    Credo che i feedback online (a differenza dei sondaggi, in fondo) stravolgano il rapporto tra qualità e quantità.
    Danno cioè un peso enorme a posizioni di minuscola minoranza, ma particolarmente estreme (e quindi in gradi di colpire emotivamente) e coltivate con particolare energia.
    Un po’ lo stesso meccanismo che fa si che giornali letti pochissimo (ma sussidiati) abbiano alla fine una grande importanza grazie alle reazioni (o al semplice fatto che altri giornali ne riportino come notizie gli editoriali).
    Lo stesso motivo che mi ha portato a chiedere conto, sul Post, dello spazio (a mio avviso sproporzionato) dedicato a Ferrara.
    Credo che dovremmo imparare a ignorare le opinioni minoritarie che non ci insegnano nulla.
    Chiunque può “dare lezioni” e nel caso è bene accettarle, ma alle opinioni semplicemente sbagliate vale la pena replicare solo se sono diffuse o in qualche modo rappresentative, altrimenti si alimenta solo la confusione.

  2. Geffe

    Solo per segnalare che il link al pezzo di Friedman conduce al medesimo al tuo post di settimana scorsa.

  3. Fulvio

    Molto d’accordo con Friedman e con le tue considerazioni in proposito. Aggiungerei però una riflessione rispetto alle conclusioni. Io credo che sia errato pensare che l’influenza negativa causata dalla ‘tanto celebrata opportunità data da inernet’ si produca solo ex-post, ma che essa dispieghi i suoi effetti più perniciosi anche ex-ante, cioè proprio nella selezione delle leadership. Detto in altri termini, oggi ai posti di potere arrivano esattamente coloro che sono meno inclini a superare il troppo controllo. Se in questa fase storica la politica rappresenta il maggior rischio alla stabilità economica e sociale del pianeta è proprio perché chi ci governa agisce reagendo alle pulsioni ‘di pancia’ (e quindi, per definizione, di brevissimo termine) della gente invece che operare in nome di interessi superiori e di lungo periodo.

  4. 1972

    Solo per segnalare che, come al solito, non si capisce niente di quel che scrivi. Bravo.

    Enzo Reale

  5. Valeria

    Ho l’impressione che questa sudditanza sia dovuta, almeno in parte, alla differenza di età fra chi è al potere e chi commenta. Coloro che detengono la leadership non sanno leggere internet, non hanno maturato la consuetudine e la familiarità con il mezzo; ciascun politico dovrebbe assoldare un manipolo di adolescenti che ogni tanto gli risistemi i pesi e le priorità (“ma nonno, è Facebook!”). Forse tra qualche anno, quando chi è adolescente sarà al potere, questa sensazione di paralisi si attenuerà, chissà.

  6. Stef

    E dire che io ho l’impressione di avere capito tutto senza sforzo. E pure Valeria, mi sembra. Forse siamo due geni, oppure il post non era poi così contorto. Oppure…

  7. odus

    Mi pare che ora abbiano tutti paura di ogni più piccola e isolata critica.
    Infatti, io su il post non riesco a inserire un commento sugli articoli di Filippo Facci.

  8. almotasim

    Quoto totalmente @odus.

    Peraltro, anche questo blog due giorni fa ha tenuto indefinitamente nel limbo degli “awaiting moderation” un mio commento tranquillissimo (ok, ok, conteneva la parola “sciocchino”)…

  9. Elvetico

    Sono di sinistra ma riconosco che Enzo Reale ha le sue ragioni. Ora non so più se sono intelligente o stupido.

  10. Pingback: Blolligator

  11. odus

    Francesco 24 novembre, 2011 alle 22:01 scrive: Chiunque può “dare lezioni” e nel caso è bene accettarle, ma alle opinioni semplicemente sbagliate vale la pena replicare solo se sono diffuse o in qualche modo rappresentative, altrimenti si alimenta solo la confusione.

    Qui c’è uno – e con l’altro fanno 2 – che SA quali sono le opinini giuste (le sue) e quali quelle sbagliate (quelle di chi non la pensa come lui e l’altro).
    Per lui non conta l’opinione di una persona che si esprime sul web, ma le opinioni diffuse e rappresentative di massa, tipo ammasso. Per lui il web diventerebbe come i giornali dove c’è chi scrive e chi in silenzio deve leggere.
    Siccome uno così è materiale umano raro, non bisogna perderlo di vista.

  12. Francesco

    @odus: Mi contraddico un po’, rispondendo e specificando, ma si sa che sono vittima anche io di questa incapacità di relazionarsi al mezzo.
    Ovviamente il fatto che io ritenga di conoscere quali sono le opinioni giuste è semplicemente sbagliato ;)
    Però è un fatto che al mondo ci sono milioni di teorie evidentemente false con almeno un sostenitore (mai sentito dire che la terra in realtà è piatta e il mappamondo è una bugia per tenerci soggiogati?).
    Certo non con tutte basta guardare l’orizzonte per verificarne la falsità, ma la cosa non cambia di molto: di queste posso dire che sono sbagliate (senza per questo sapere nulla di opinioni “giuste”).
    Sono troppe e lo sforzo di mostrarne la fallacia è semplicemente buttato (anche perché, per ovvia selezione, chi le “propone” non è certo disposto a osservare dei fatti), a meno che le stesse non abbiano un seguito tale da poter influenzare scelte collettive (con effetti talvolta catastrofici: quante guerre sono nate così?).
    ps: hai sbagliato il grassetto: la parola importante era “semplicemente”, non “sbagliate”, spero che ora sia più chiaro, altrimenti posso provare con degli esempi (2+5=12 può andare?).
    Lo riporto perché è la base della parte che hai ignorato della citazione: secondo me quando qualcuno dice qualcosa bisogna cercare di capire bene il contenuto, senza farsi influenzare dall’autore o dal linguaggio (tipo il fatto che le parole “opinioni” e “sbagliate” siano nella stessa frase), e solo dopo decidere se il contenuto stesso può insegnarci qualcosa o se merita almeno una risposta.

  13. heilandstark

    @Odus e @ Almotasim
    Magari date un occhio (se non l’avete già fatto) qui:http://www.ilpost.it/moderazione-commenti/
    L’unica cosa che mi pare il caso di segnalare è che il limite di 5 commenti al giorno per utente mi pare un po’ limitante per quelli che sono lettori e commentatori assidui. Poi magari interpreto male io.
    In merito all’articolo ringrazio per il rimando all’articolo di Friedman. La questione è complessa, ma si puo’ riassumere nella mancanza di valori, di carattere e ideali che le classi politiche odierne manifestano senza vergogna. Friedman e Sofri dicono poi quan’altro c’è da aggiungere.
    HS

  14. biagio

    Io quel che ha scritto il Sofri l’ho capito, e non sono un genio, però insomma, se scrivesse un po’ meno contorto sarebbe meglio…

    Nel merito: non sono proprio sicuro che l’attitudine a seguire l’elettorato piuttosto che a guidarlo sia un portato di Internet.
    Secondo me la tendenza c’era anche prima, soprattutto qui da noi.
    Il debito enorme che abbiamo si spiega anche così, credo: le decisioni impopolari di solito sono quelle giuste, ma hanno il difetto di far perdere voti.

  15. makkox

    limitandomi al terzetto giornalisti, direttori, imprenditori, penso sia non comprensione del mezzo, o percezione parziale. il feedback del web, a dargli tempo, è autocorrettivo, o autocompensativo, bisogna fidarsi di questo meccanismo e tirare dritto. “bisogna” nel senso che non c’è alternativa nell’esprimersi, a meno di non perdere in solidità, efficacia.
    d’altra parte non è nulla di nuovo, non è il web che genera i chitemmuorto. il web ti rende visibile i chitemmuorto che prima ti beccavi senza sapere.
    ci si abituerà a ‘sta consapevolezza di non poter piacere a tutti, come invece prima ognuno poteva illudersi fosse, un po’.

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