In un dibattito, ci si ascolta

Da diversi anni, parlando dei cambiamenti introdotti dall’uso di internet nelle vite di tutti, penso che ci sia un problema di mancata comunicazione tra chi ne parla e scrive, e tra le reciproche esperienze (“Sono vent’anni che lo dico!”: sto diventando Cacciari). Persone che si sentono vittime di quei cambiamenti, o che ne vedono alcuni pericoli, e persone che ne beneficiano e ne conoscono le opportunità, non si parlano e non scambiano i rispettivi punti di vista e le rispettive competenze: col risultato che ognuno colloca gli interlocutori dentro uno stereotipo banale di “luddista ignorante della Rete” o di “fanatico fautore dell’anarchia online”. Capire le ragioni degli uni e degli altri – che ci sono, anche quando convivono con ignoranze – e moderare quelle reciproche ignoranze, sarebbe l’unico percorso che porta da qualche parte, ma è poco battuto: la maggior parte dei confronti si risolve – vi meraviglia? – in una competizione a chi la sa più lunga e più irride l’opinione avversa.
Quindi mi pare una buona cosa che Michele Serra abbia, in un suo articolo di domenica, messo al centro della riflessione – su una questione che riguarda internet – i pareri e le obiezioni che riceve da “chi ne sa di più” e li abbia valutati e soppesati, indipendentemente dalle sue conclusioni.

Ti fanno, poi, se ti lamenti troppo di ritrovarti laddove non sapevi di essere e dove non vuoi essere, una seconda obiezione. Meno politica e più “tecnologica”, e dunque molto insidiosa in un ambito così tecnologico. Quando ebbi a lamentarmi sulla prima pagina di Repubblica dei miei indesiderati “avatar”, giovani lettori e internauti e blogger mi hanno scritto lettere anche severe ma senz’altro utili. Li ringrazio in blocco per avermi insegnato più di una cosa su come funziona il “loro” mondo. Ma già definendolo “loro”, quel mondo, comincio a impostare la mia replica. L’imputazione a mio carico, infatti, è “non conoscere abbastanza i social network”, non capire come funzionano, non saperli usare. Come riprova, mi spiegano che la pagina Facebook “Michele Serra” da me contestata non era, in realtà, un vero e proprio fake, o meglio era un fake veniale: una pagina di discussione aperta a mio nome da un amministratore (che poi non la amministrava affatto, ma questo è un altro argomento), come poteva capire chiunque leggendo la dicitura “pagina non ufficiale”.
In replica ho da dire due cose. La prima: il mio grado di conoscenza del web (come, suppongo, quello di Camilleri e di altri non nativi digitali per ragioni anagrafiche) discende dall’uso che decido di farne. Cerco informazioni e notizie, navigo, consulto, scrivo, leggo. Ma non uso i social network. Perché dovrei estendere la mia conoscenza anche al funzionamento e al linguaggio dei social network, dal momento che NON è un mondo nel quale abito? Non è forse leggermente totalitario (è la seconda volta che uso questo termine) supporre che tutti debbano non solo usare il web, ma abitarci, impararne la lingua, perché il solo modo per difendersi dai pericoli del web è entrarci dentro mani e piedi e presidiare la propria posizione pre-assegnata? (da chi? da Dio? dal destino?). Allo stesso modo, non è agghiacciante che il suggerimento univoco che amici espertissimi mi diedero, mesi fa, è «apri la tua pagina Facebook, apri il tuo account su Twitter, è l’unico modo che hai per difenderti»? Ripeto quanto scrissi allora: sono, i social network, l’unico e il primo club nella storia dell’umanità al quale iscriversi è obbligatorio?

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13 commenti su “In un dibattito, ci si ascolta

  1. splarz

    Francamente ho visto disponibilità a tentare di comprendere Internet da parte di chi ignora cosa sia solo da Michele Serra; gli altri erano casi di parlamentari che pretendevano di legiferare su una materia che non solo ignorano ma addirittura non capiscono.
    Non comprendo: se il grillino di turno dice una scemenza, la rivolta verbalmente violenta, supponente e aggressiva è non solo lecita, ma condivisa e apprezzata, quando invece si tratta di pari idiozie dette da illustri signori allora no, bisogna ascoltarsi.
    Mah.

  2. fp57

    Boh, io faccio fatica a comprendere che un giornalista opinionista onnipresente si meravigli che i suoi pensieri
    quotidiani su tutto e su tutti prendano una strada prefissata. praticamente qualsiasi cosa ognuno di noi confessi ad un solo altro prende una via imprevista. Serra si deve difendere imparando il linguaggio dei social network? No. Basterebbe davvero che ogni tanto stesse zitto, semplicemente ad ascoltare qualsiasi cosa venga detta, pure su di lui medesimo. zitto a meditare nove anni davanti a un muro. tanto per cambiare, no?

  3. fp57

    era “prendano una strada non prefissata” (ma faccio fatica a scrivere, tanto sono piccoli i caratteri)

  4. aristarco

    Vado di metafora. Gustavo Thoeni ha smesso di vincere e ( e di gareggiare) quanto hanno cominciato a sciare (e vincere) con il sedere 30 cm più in basso e gli sci 30 cm più larghi. Panatta ha smesso di giocare quando hanno inventato i racchettoni. Le cabine telefoniche non ci sono più. Ecco il discorso di Michele Serra mi sembra come uno dicesse, “voglio fare le gare di sci, ma io scio a sci uniti con un bello stile elegante, voglio giocare gli US open, ma con la Donney di legno; “Cazzo” ho in tasca due mila lire di gettoni telefonici ma non riesco a chiamare a casa per dire che sono in ritardo.

  5. granmadue

    @aristarco
    Boh, io l’ho capita diversamente.
    Cioè che M.S. stia dicendo: “io NON voglio fare le gare i sci, e non voglio nemmeno che qualcun altro le faccia spacciandosi per me”.
    Forse sono vecchio, ma mi sembra un’esigenza più che legittima.

  6. fp57

    @granmadue
    puoi spiegare che vuol dire “io non voglio fare le gare di sci” riferito a Serra? Che cosa è che non vuole?

  7. Alan Cowan

    Forza Michele. Se devono proprio vincere loro, e alla fine vinceranno, facciamo almeno che gli costi caro.

  8. gianmario nava

    però Serra quando dice nell’articolo: “bisognerebbe che gli abitanti dei social network, piuttosto che perdere il loro tempo a sottolineare…” innesca un circuito ricorsivo
    perchè perde tempo a sottolineare qualcosa relativamente a una entità collettiva che non esiste
    tanto quanto lui non vuole abitare i sociual network
    per essere coerente con il suo pensiero può parlare ai singoli, nominandoli personalmente
    diversamente adotta una modalità “social network” che aborre
    o no?

  9. Qfwfq71

    L’oggetto del post mi sembrava fosse citare un buon esempio di chi, pur avendo un’opinione differente dal suo interlocutore si mete nella posizione dell’ascolto, sforzandoci di non assumere posizioni preconcette.
    In questa maniera il dibattito in genere evolve, le posizioni diventano più circostanziate, si colgono le sfumature, e alla fine capita anche che i due interlocutori scoprano di essere molto più vicini di quanto non pensassro prima.

    Sofri è andato persino oltre, offrendoci un Esepmio nell’Esempio.
    Infatti postando l’articolo di Serra, appare chiaro che l’esempio più calzante di questa “disposizione all’ascolto” è l’articolo di Sofri.

  10. Qfwfq71

    Per come la vedo io Michele Serra è come un autorevole rappresentente di una tribù aborigena in via di estinzione.
    Uno stregone pieno di saggezza da raccogliere e divulgare, ma che è convinto che le fotografie gli rubino l’anima.
    Nel suo mondo privo di foto e di alfabeto, ha ragione lui, e scattargli una fotografia è una imposizione totalizzante.
    Nel nostro mondo, non utilizzare quel mezzo (la fotografia) equivale a una perdita e a una limitazione dei suoi potenziali di diffusione della conoscenza.

    Ora Luca Sofri ci invita a rispettare e ad ascoltare anche le posizioni degli aborigeni, e questo può aiutarci a volte a proteggerci di rischi della società dell’immagine (quella che ruba l’anima). Questo funziona però se si rimane su un piano cultruale o metaforico della discussione.
    Il problema nasce quando gli aborigeni pretendono di regolamentare la produzione di foto; magari obbligando tutti alla esecuzione di improbabili e inutili riti sciamanici (mentre la foto digitale è già arivata nel nostro mondo, fuori del controllo magico).

    lo dico senza polemica nè ironia, ma con il grande rispetto che ho per gli stregoni, anche contemporanei

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