Retrocassa

Di fatto, sono quello che chiamano un “autore”, nel mondo dell’editoria. Ovvero ho pubblicato dei libri: solo tre, e tutti con una storia indipendente e nessuna continuità tra loro, quindi di certo non mi penso uno “scrittore” nel senso in cui la parola viene usata normalmente (secondo me poi è scrittore chiunque scriva con continuità qualunque cosa: ma questo è un tema esteso e sensibile e per ora soprassediamo). Però, insomma, ho un conflitto di interessi a parlare di come funziona la vendita dei libri: alla fine ne ho pubblicato uno appena quattro mesi fa.

Quindi ne scriverò come uno incuriosito al fenomeno, ma anche interessato personalmente: non sono di quelli che per giorni vanno nelle librerie a controllare come sia esposto e promosso il loro libro, ma solo perché mi vergognerei di essere riconosciuto e un po’ mi vergognerei di me stesso (ci sono “autori” che lo fanno con una assiduità e insistenza che superano persino quelle messe nello scrivere il libro, mi raccontano): poi il mio libro è andato discretamente finora, e questa è una cosa che rasserena gli autori. Però quando sono in una libreria, è inevitabile che noti se il mio libro è visibile in circolazione, e dove.

La prima cosa che scopri, quando esce un tuo libro, è che un libro nuovo sta in zone visibili della libreria per pochissimi giorni, ancora di più se è la libreria di una catena. In quei pochissimi giorni può succedere che il tuo libro vada subito molto forte – perché sei famoso, perché hai avuto grandi promozioni televisive, perché si crea subito un’attenzione – e allora ti conservi spazio sugli scaffali davanti: se questo non avviene nell’arco di una settimana o al massimo due, sparisci altrove, dovendo fare per forza spazio a un flusso continuo di altre uscite che combattono per sopravvivere: e altrove vuole quasi sempre dire “dove ti trova solo il commesso a cui qualcuno abbia chiesto esplicitamente il libro”. È una di quelle cose che ancora oggi – in tutto questo digitale e virtuale – ha a che fare con le leggi della fisica: lo spazio è limitato, non può essere occupato da due corpi, e anche il tempo di esame delle copertine da parte dei clienti della libreria non è modificabile. Tenere il tuo libro in quella posizione all’ingresso significa sacrificarne un altro che può vendere più del tuo, o di cui hanno parlato ieri sera alle Invasioni Barbariche.

Ma non è solo questo, impari poi: in molte grandi catene che hanno molte librerie, quello spazio è in vendita. Non solo è ulteriormente limitato dal fatto che le catene che sono legate ad editori devono privilegiare i “propri” libri (ancora di più in tempi difficili come questi), ma è anche offerto agli altri editori e distributori secondo definiti listini di sconti e tariffe speciali in cambio di una presenza negli scaffali delle novità, nelle “torri” all’ingresso, nel “retrocassa”. I libri che vedete esposti dietro le casse mentre siete fermi in fila – e magari vedendoli vi viene di comprarli – sono lì perché l’editore o il distributore hanno pagato per ottenere quello spazio, pensando che quei libri potessero beneficiare da una maggiore visibilità (di solito il vederli suona un campanello al cliente, e lo tenta all’acquisto).

E sono solo un paio delle tante variabili molto concrete che orientano le vendite e i successi dei libri, il fatto che poi entrino nelle classifiche, che se ne parli, e che vendano ancora di più eccetera: come avviene per ogni prodotto, la promozione,gli  investimenti e il potere imprenditoriale e commerciale – che non è solo quello delle concentrazioni di editori, ma delle concentrazioni di librerie, o di distributori – sono decisivi. E coi libri queste cose concorrono a fare sì che poi le opere restino nella storia generale della cultura, e nelle nostre storie personali di lettori. Poi c’entra anche il contenuto dei libri, e la loro qualità, naturalmente. Anche.

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7 commenti su “Retrocassa

  1. Raffaele Birlini

    Mi interessa l’argomento. Mi chiedo cosa sia la ‘storia generale della cultura’, forse quello che un tempo si definiva il canone. Esiste ancora, oggi, un canone, e se c’è chi si occupa di tenerlo aggiornato. Il mister Bloom della situazione, il critico che ha l’autorità di stabilire ufficialmente quale libro, e relativo autore, osannare e innalzare, e quale invece seppellire in una tomba anonima. La ‘storia generale della cultura’ si sviluppa in modo caotico, irrazionale, disordinato oppure c’è una mano invisibile, una provvidenza che agisce con scopi fuori dalla portata delle capacità di comprensione umane. E questo è un tema che stimola discussioni da secoli. Se invece non è il caso né un meccanismo sovrannaturale a governare lo sviluppo della storia, allora chi la governa? La book review del NYT, un premio accademico? Il partito, il mercato? I politici, gli editori? Oppure un’utenza più o meno soggetta all’influenza della pubblicità e della propaganda? In tutto questo il contenuto dell’opera che peso ha? E la qualità: è misurabile, è percepita? La riduzione a un discorso materialistico mi trova dubbioso. Il tempo del potenziale cliente è poco, il posto sugli scaffali scarseggia, gli inviti alle trasmissioni sono legati al peso dell’editore e del suo budget, pare insomma che l’aspetto filosofico della ‘storia della cultura’ e l’aspetto artistico dell’opera (in questo caso scritta) passino in secondo piano rispetto al successo misurabile in termini di volumi di vendita. Secondo me occorre piuttosto domandarsi, appunto, se abbia ancora senso parlare di canone, se esiste ancora un criterio oggettivo per trovare razionalità nell’industria culturale che diventa sempre più indistinguibile dall’industria dell’intrattenimento. Non che sia un guaio, intendiamoci, perché l’industria culturale che rifugge dall’intrattenimento corre il rischio di diventare un organo per l’indottrinamento di qualche chiesa partito. Non che l’indottrinamento delle masse non avvenga comunque, specie in presenza di poteri mediatici la cui importanza non viene scalfita dal vociare confuso su internet, ma se la relativa libertà dal canone sacrifica la qualità perché si rivolge alle masse in cerca di puro intrattenimento, il libro da ombrellone, il libro da regalare a Natale, permette però anche l’esistenza di voci fuori dal coro che altrimenti verrebbero ostacolate, anche se non le sente nessuno cosa importa, ormai nessuno sente più niente: l’arte sta tornando quella che era in origine, un’attività di lusso per chi del gran tempo libero e una fonte di reddito sicura alle spalle, il primitivo che ha un sacco di avanzi di mammuth in dispensa e ne approfitta per decorare la grotta.

  2. micro_Firenze

    Interessante e molto vero. Meccanismi assai simili governano la distribuzione cinematografica, con effetti di condivisione culturale ugualmente influenzati dai meccanismi del marketing.
    Con una interessante differenza, il film è un attualmente un prodotto più fluido, più accessibile ad una moltitudine di persone su piattaforme differenti e dunque, seppure il mainstream applichi ancora le sue modalità pervasive sui canali tradizionali, la diffusione della conoscenza cinematografica è più ampia, trasversale e meno polarizzata (ma le classifiche degli incassi non ne tengono conto).

  3. gianmario nava

    anche tacchi, dadi e datteri sono venduti con le medesime modalità
    per non parlare dei maltagliati

  4. asalvado

    Solo una cosa. I commessi, anche se dipendenti di catene, anche se con margini di scelta risicati, avrebbero la velleità di essere chiamati librai. Ancora per un po’.

  5. il mondo perfetto

    Si,ma seguendo il discorso per cui scrittore è chi scrive di tutto con continuità lo sarebbe stato Paso ed oggi Eco e Sofri,ma non il fu Tabucchi.Comunque sbagli a scrivere l’equazione visibilità=vendita.Ok era un villaggio non globale,ma nel 1851 o giù di lì negli States il libro più venduto non fu Moby Dick,ma un altro ora giustamente dimenticato.
    Senti,off topic,non capisco proprio perchè mi hai bloccato su twitter visto che esprimo le mie opinioni ma senza offendere o ledere il decoro etc.Mi farebbe immenso piacere intellettuale che mi sbloccassi,dimostrandoti persona di aperte vedute,che se sbaglia sa capirlo.Credimi,è il caso.
    @ilmondoperfetto

  6. andrea_g

    Tutto giusto, ma i trucchi di marketing sono solo un aspetto dell’aleatorietà o della condizionabilità del successo “artistico”.
    I meccanismi del successo sono abbastanza studiati, come ad esempio nel famoso lavoro di Salganik di cui si parla ad esempio qui
    http://www.npr.org/2014/02/27/282939233/good-art-is-popular-because-its-good-right
    per cui può essere facilmente condizionato dal marketing (e vale per i libri per i film, per le canzoni come per i tablet e le scatolette di tonno), ma anche semplicemente dal caso…

  7. Qfwfq71

    Attenzione a non confondere il successo editoriale con la validità dei contenuti e/o l’importanza culturale del prodotto artistico/letterario.
    Le due cose sono totalmente disgiunte sia in negativo che in positivo.
    Altrimenti dovremmo pensare che un libro di cucina è un capolavoro come la Divina Commedia.
    è sempre stato così, non è una degeneraizone contemporanea.
    Poi se un autore intelligente, scrive cose non banali che hanno presa sul grande pubblico e riesce a campare bene grazie alle sue opere migliori, siamo tutti più contenti.

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