La casa milanese di Franco Battiato ha un grande soggiorno, il pavimento di legno e le vetrate colorate che danno sulla chiesa di Santa Maria dei Miracoli. È una bella giornata di sole autunnale, a Milano. Battiato è appena tornato da un viaggio di dieci giorni in Nepal. Mentre era là, in Italia arrivava il Dalai Lama e nei negozi usciva Fleurs, il nuovo disco in cui il cantante siciliano ha raccolto dieci canzoni d’autore degli anni Sessanta, due pezzi nuovi con intervento del suo amico e collaboratore Manlio Sgalambro e un divertissement finale, occulto ai titoli di copertina. Le canzoni sono molto belle, malinconiche: pare che i brani siano stati scelti per amore dei riferimenti al passare del tempo e delle stagioni, e dei sentimenti. Le rose e le viole di De André, il maggio di Costa e Di Giacomo, la vecchiaia degli amanti di Brel e gli amori perduti di Trenet, la neve di Endrigo.
“Quando avevo quindici anni Aria di neve di Sergio Endrigo fu uno dei primi dischi che comprai, alle feste cercavo sempre di farlo mettere. Anche le canzoni di Fabrizio le consumai in tempo reale”.
Ci sono altre canzoni che avresti voluto usare?
“No. Non me la sento di pensare a un mio disco che superi le dieci, dodici canzoni, né a una durata d’ascolto maggiore. È anche stata fatta una scelta di canzoni che potessero resistere bene a un adattamento per pianoforte e quartetto d’archi. Infine, non posso sottovalutare il mio timbro e le mie possibilità vocali. Non potrei decidere di cantare né My Way né O sole mio. Non sono il tipo di interprete adatto a quel genere di canzoni, per cui ci vogliono mezzi di espansione vocale potenti”.
Però hai voluto cantare una canzone napoletana?
“Guarda, io canto una canzone perché quella canzone mi affascina. Non canterei in finlandese per il gusto del finlandese, a meno che non trovi una canzone che lo meriti. Era di maggio non alimenta l’enfasi tradizionale che si attribuisce alla canzone napoletana classica, ha una sua sobrietà”.
E perché hai cantato l’originale di Ruby Tuesday dei Rolling Stones, e invece le traduzioni delle due canzoni francesi?
“Il testo di Brel è di Bardotti e Del Prete. Mi piaceva l’idea di cantarla in italiano.
Per Trenet la storia è diversa. Gesualdo Bufalino mi mandò un fax col suo adattamento della canzone, nel ‘94. Per affetto gli mandai una cassetta con la mia versione della canzone. Mi dispiace che lui non ne abbia potuto vedere l’esito”.
Lo vedevi, in Sicilia?
“Ci sentivamo. Ma io in Sicilia faccio una vita assolutamente appartata. Amo il posto dove sto, l’esterno si sente anche stando chiusi in casa”.
Non sei curioso della Sicilia?
“La parola curiosità non è adatta. Non so se sono curioso, non credo. Mi piacerebbe vivere bene”.
E il Nepal?
“Bellissimo viaggio. Avevo voglia di andare e sono stato premiato, mi ha fatto tornare il desiderio del viaggio, in posti che ho tralasciato in passato. Ho avuto degli incontri importanti, più che non la visita di un monastero. Ho incontrato qualche lama. È un mondo che conosco”.
Ma ti sei perduto l’arrivo del Dalai Lama.
“Non sarei andato. Sulle cose dello spirito ho come la necessità di un riserbo e di una strettissima relazione. Non ne posso concepire un allargamento così plateale, per come sono”.
Tu fai molte cose con altri artisti, giovani…
“Detesto i giovani. L’idea del giovanilismo. Non riesco a concepirla. Nell’Imboscata scrissi “Non te ne fare un vanto”. Non è un vanto essere giovane. Quando mi dicono che la mia musica piace ai giovani, non lo capisco. Che poi ci siano delle tendenze a me interessa poco”.
Ma con i tuoi colleghi affermati collabori meno.
“In genere non mi metto a collaborare per motivi di marketing, non programmo duetti. Se trovo qualcuno con cui condivido qualcosa, è un piacere. Ma di solito sono gli altri che hanno avuto la gentilezza di essere utilizzati per una cosa già fatta: non abbiamo creato insieme”.
E con Alice e Giuni Russo mantieni dei rapporti?
“Con Alice ci siamo sentiti ieri sera. Con Giuni siamo molto amici, anche se è da un po’ che non ci vediamo. Sai, io faccio cose diverse, proprio per non stare nelle categorie. Tutta la mia carriera è fatta per saltare le trappole di essere questo o quello. Sono fisicamente impossibilitato a ripetere una cosa che ho già fatto. Non faccio mai il seguito di un successo. Se quando faccio un disco nuovo ti aspettavi un’altra cosa, bé, non comprarlo”.
Hai fatto anche cose che non ti piacciono più?
“Tantissime! Ho fatto cose brutte, orribili. Questo mestiere è fatto di quotidianità. Se sbaglio calze, domani le cambio. Non c’è niente di assoluto in quest’arte”.
Il disco precedente a Fleurs, Gommalacca, com’era andato?
“Benissimo, ha venduto cinquantamila copie meno dell’Imboscata, che era più facile, di compagnia. Ma è un disco molto più riuscito, secondo me, ha più di una zampata sul futuro. Con sonorità che potrò usare di nuovo”.
Andresti a Sanremo?
“No. Non mi piace l’idea americana della gara. Non ho nessuno snobismo, ma la gara è un po’ deprimente”.
Sei fiducioso come dici nelle interviste, o disilluso come canti nelle canzoni?
“Sono un ottimista, ma vedo quello che succede. Mi dispiace vedere come nel secolo delle grandi scoperte scientifiche ci sono dei primitivi che si picchiano allo stadio, come ai tempi del Basso impero. Ma tutto è paradossalmente nella stessa insalata. Si è arrivati a un disinteresse per la vita che ti fa ammazzare per centomila lire. La politica fa parte della stessa cosa. Mi capita di sentire in televisione una retorica disgustosa che era già vecchia cinquant’anni fa. Questi ancora credono in queste forme, ci rimango allibito”.
Però pare che funzioni, no?
“Dici? Questo mi dispiace molto. Ma dev’essere vero, in America ho visto dei predicatori da prendere a calci, con un pubblico che li ascoltava a bocca aperta. In Nepal vedi una mucca sacra che rovista in una detestabile spazzatura atavica. A me dispiace. Come non posso sopportare l’idea che un leprotto venga azzannato da un cane. Ci scriverò una cosa, forse”.
E non hai mai voglia di fare nomi e cognomi del tuo fastidio?
“Ma penso che qualcuno può dire anche di me, vedendomi in televisione, guarda quell’insopportabile, canta malissimo e scrive canzoni di seconda categoria. E se a me dà così fastidio lui, lui non sopporterà il mio moralismo. È una cosa privata”.
Anche l’impegno politico?
“Devi pensare che l’Italia si è dimostrata in questi 50 anni una cosa sorprendente. Cresci e scopri una fogna che era difficile immaginare. Se hai un’idea del bene, a meno che tu non voglia scegliere il male, non puoi accettare che si metta della droga a casa di qualcuno per farlo arrestare. È vergognoso. Questo in Italia c’è: corruzione, tutto quanto: farebbero qualunque cosa pur di abbattere un avversario”.
La mia etica è la mia produzione musicale. Altro non serve a niente. Non vado io in ospedale a curare i malati. Stai parlando con un metafisico. Il mio pensiero è già la condanna, un giudizio per l’eternità. Se mi dovesse accadere qualcosa, come è accaduto a qualcuno, metti che per un equivoco dicono questo qui spaccia cocaina e mi mandano in galera, non ne farei un dramma. Ho tante cose da leggere. Ma le cose brutte ricadono su chi le fa: un equivoco può capitare, se cerchi di far fuori qualcuno lo paghi”.
Che musica senti?
“Molta, diversa. Certa discodance che sento per radio, se non avessero questa ossessione della danza, avrebbe delle sonorità interessantissime. Non mi fraintendere, mi piace la danza: ma per svegliarsi, non per dimenticarsi. Non vado nelle discoteche, non mi piace essere costretto a subire tutto. Non puoi dosare né i volumi né gli spazi”.
Con internet come ti muovi?
“Seguo a distanza. Ho un sito, la posta, cose che qualcuno segue per me. Ma ho altre cose da fare, non dedico il mio tempo a navigare”.
E non ti preoccupa come terreno della pirateria musicale?
“Chissà come andrà a finire. Aspettiamo. Io sono curioso”.