Signor direttore, vorrei coinvolgere il suo giornale in una riflessione che riguarda due signore questioni, coi tempi che corrono. Una è internet, l’altra è il comportamento dei mezzi di comunicazione. Esagero? Non lo escludo, e non lo escluderò ancora nelle righe che seguono.
Il fatto è che mi occupo di internet da molto tempo, con grande divertimento e curiosità. A un certo punto ho cominciato a perdere il filo di qualcosa, e così ho cercato di interrogare tutti quelli che mi sembrava stessero dietro a quel filo, il filo dello sfruttamento economico di internet e della rivoluzione finanziaria che sembra derivarne. Da un certo punto in poi, infatti, qualsiasi discussione e questione relativa a internet ha cessato di riferirsi ai suoi contenuti e alle sue tecnologie, ma ha alluso solo e unicamente ai suoi risvolti economici. Oggi, sui mezzi di comunicazione, nelle conversazioni sulle prospettive, nelle opinioni degli esperti e degli inesperti, ci si riferisce a internet e si parla del business. Di nient’altro.
Sì, di cavi, bande, servizi, portali: ma tutto in funzione del business. Ormai, anche inconsciamente, non ci si chiede più quali cambiamenti possa portare uno sviluppo o l’altro della rete nel funzionamento delle nostre vite e del nostro mondo; ma cosa cambierà del sistema economico che regola le nostre vite e il nostro mondo. Sembra la stessa cosa, ma non lo è. Mi pare.
Allora, la cosa che non capivo era: da dove vengono tutti questi soldi? Miliardi e decine di miliardi e centinaia di miliardi di investimenti: in cambio di cosa.? È vero che la finanza si è sempre retta in buona parte su un’attitudine al bluff, ma prima, in fondo a meccanismi complessi e sistemi di produzione macchinosi, un bandolo da cui i soldi rientravano si trovava. Ma ora?
Ora io penso questo: che internet sia il più grosso bluff della storia economica del mondo. E il più riuscito bluff della storia economica del mondo. Si sa che i bluff possono andare in due modi: qualcuno viene a vedere e il bluff crolla, oppure nessuno ha il coraggio o elementi sufficienti e il bluff regge e i soldi gli vanno dietro. A me pare che in internet stia succedendo questo, e provo a spiegare perché con alcuni indizi che ho raccolto in giro.
Primo indizio: per ora con internet non si guadagna. Nessuna nuova attività in rete è in attivo, a meno che non parliamo di attivi minimi su business minimi. Se aprite un sito per vendere la vostra bicicletta usata, sul server di un amico, forse la venderete. Ma direi che nessun business di una certa dimensione creato in rete porta guadagni a se stesso. Tutti sono sostenuti da altre entrate o investimenti per ora a fondo perduto.
Secondo indizio: più gli investimenti sono grandi, più forte è il passivo. Tutti i portali, le grandi società, gli editori, le aziende di telecomunicazioni non cavano una lira dai miliardi e miliardi che stanno mettendo nella costruzione dei loro siti. Né sanno immaginare un modo per cavarcela.
Terzo indizio: al momento attuale nessuno sa indicare in internet fonti di guadagno diverse dai banner pubblicitari (briciole) e dall’e-commerce (in Italia, briciole; fuori, tutti comunque in passivo).
Quarto indizio: tutte le grosse iniziative imprenditoriali in rete si motivano solo con la crescita del valore delle azioni in borsa (il bluff per definizione). Per le società già esistenti che vanno in internet il rapporto è duplice: ci vanno per non far calare il valore delle loro azioni.
Quinto: no, non solo. Per altri tre motivi, uno più evanescente dell’altro. Uno, sostenere le loro attività extrainternet. Due, “creare comunità”, assumere dati sugli utenti con la prospettiva di vendergli qualcosa, che è il motivo dietro la grande trovata dell’accesso gratuito, al centro della campagna dello scorso autunno. Che mole di affari e guadagni possa portare il commercio in rete, come dimostrano i passivi attuali, è tutto da individuare. Tre, dice un mio amico esperto: “è come se si fosse trovato un oceano sconosciuto: nessuno ci ha pescato niente, se non quattro sardine, ma è così grosso che qualcosa di prezioso ci deve pur’essere. E così tutti si affannano a buttare le reti, e a non restare a terra a guardare, ma non sanno neanche lontanamente cosa vogliono pescare”.
Sesto: nessuno dei grossi portali sbarca su internet con un prodotto degno di questo nome. L’ultima idea vera sono stati i motori di ricerca. Tutti quelli che buttano cifre enormi nel fare un nuovo sito e fargli una valanga di pubblicità, non offrono niente di minimamente innovativo, né competitivo con quello che già c’è in rete e addirittura con quello che c’è fuori. Un qualsiasi quotidiano tradizionale ha un valore in servizi e contenuti dieci volte superiore al più strombazzato dei portali.
Settimo: chi è dentro a questi business fino al collo dice tre cose. Che due mesi fa pensava cose del tutto diverse da quelle che pensa ora. Che non fa nessun tipo di previsione oltre i prossimi sei mesi al massimo. Che odia internet, se è sincero.
Questi sono i motivi per cui mi sembra difficile negare che la promessa di ricchezza sia un bluff formidabile. Magari alla prossima mano ci entrerà un poker servito: ma a questa ci troviamo con due otto e tre carte da cambiare. E dopo il cambio, ogni giorno finora, abbiamo sempre due otto. Ma rilanciamo e il piatto cresce.
Ho citato i mezzi di comunicazione, perché mi sembra che siano parte integrante del bluff, che credo funzionerebbe anche senza di loro. Io ho dovuto parlare con diverse persone prima di farmi queste idee: se aspettavo che me lo spiegassero i giornali ero ancora qui che mi chiedevo come guadagnassero Ciaoweb, Kataweb, Tiscalinet e compagnia cantante e perché il Corriere della Sera ha fatto un sito nuovo. Ma forse io e i miei consulenti siamo quelli che vanno contromano in autostrada convinti che siano tutti pazzi. Però qualcuno ci avverta, per favore, e ci insegni a guidare.
Internet è un bluff? Sette indizi per una domanda
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