Mp3 e compagnia bella

“La pirateria musicale è l’atto di rubare il lavoro di un artista senza avere intenzione di pagarlo. Ovvero quello che fanno le case discografiche. Io ho intenzione d’ora in poi di battermi con il coltello tra i denti contro i pirati, ovvero contro le case discografiche. E lo farò grazie a internet”.
Così Courtney Love, attrice e cantante delle Hole, è entrata in campo nella guerra scatenatasi intorno alla pirateria al tempo di internet, scombinando ancor più le compagini in guerra.
Già la situazione non era chiara per niente. Nella causa intentata dalla RIAA (la potentissima associazione dei discografici statunitensi) contro il software Napster, che permette di scambiare file musicali in rete con estrema facilità, gli schieramenti sono quanto mai mobili. La settimana scorsa Michael Robertson, anche lui nel mirino della RIAA per il suo servizio MyMp3.com, ha ribaltato la sua posizione accordandosi con i discografici, pagando loro ben 100 milioni di dollari di diritti, e mettendosi al loro fianco con una dichiarazione giurata contro Napster.
MyMp3.com è un’invenzione figlia della creatività di internet. Robertson ha creato un database di cd in formato digitale a cui può essere registrato chiunque possegga un cd originale (basta inserirlo nel lettore del computer) per poi ascoltarne i brani dal database dovunque si trovi senza bisogno di reintrodurre il cd. La trovata, per ora non pericolosissima dal punto di vista della pirateria, aveva comunque mandato su tutte le furie i discografici, che hanno preteso il pagamento dei diritti sulla costruzione dell’archivio dei loro prodotti. Quando la causa sembrava ormai compromessa, Robertson si è accordato con BMG e Warner, due delle cinque compagnie maggiori (e sta trattando con Universal, Sony e EMI), per la gestione online dei loro titoli, pagando una cifra che appare straordinaria ma che è solo un quarto dei fondi che la sua società ha accumulato sinora in investimenti. I titoli di Robertson sono così risaliti da uno sconfortante valore di 6 dollari ad azione a un aquotazione di 18: prima dell’attacco legale erano a 30.
Se la capitolazione di Robertson (di cui secondo i maligni fa parte la sua successiva dichirazione processuale contro Napster) sembra un successo per l’industria, in realtà sancisce il primo passo dei discografici verso uno sfruttamento ragionato della rivoluzione della rete.
Fino ad ora, di fronte al dilagare di fronti che su internet mettevano a repentaglio i suoi interessi multimiliardari, la RIAA aveva saputo rispondere soltanto chiedendo una totale repressione. La causa contro Napster ne è il nodo centrale. Il programma, inventato l’anno scorso da un diciannovenne studente americano, Shawn Fenning, è diventato l’emblema della contesa. Semplice ed efficientissimo, si può scaricarlo gratuitamente in rete e collegarsi a tutti gli altri utenti che nel mondo lo possiedono per scambiarsi mp3 rapidamente e gratis, senza pagare nessun diritto a nessuno. La comunità dei suoi frequentatori ha avuto la crescita più veloce che la storia di internet ricordi. In molti college degli Stati Uniti hanno dovuto bandirlo temporaneamente perché il troppo uso intasava i server universitari.
A novembre la RIAA ha denunciato Napster. La causa procede, ma nei giorni scorsi i discografici hanno chiesto comunque al giudice di vietare il programma e chiudere il sito, in vista di una sua presunta sconfitta legale. Napster è nel frattempo diventata una società con decine di dipendenti, pagati da investimenti che superano i trenta miliardi di lire, in assenza totale di qualsiasi guadagno, per il momento. Tutto lo sfruttamento economico del suo enorme successo è appeso al giudizio in corso.
Hank Barry , il nuovo amministratore delegato di Napster, che due settimane fa ha avuto la copertina di Newsweek, ha progetti non dissimili da quelli del neo nemico Robertson. Trovare un accordo con l’industria musicale e far funzionare la sua idea a partire da una qualche forma di registrazione degli utenti e di abbonamento. Un’indagine indipendente ha riportato pochi giorni fa che il 58,5% di chi usa Napster sarebbe disposto a pagare una quota fissa per accedere al servizio. Ma tutto dipende da come Barry, avvocato e difensore del suo giocattolone, saprà districarsi dalla morsa giudiziaria.
In tutto questo, la parte che pare più defilata è quella dei relai protagonisti del contendere. Gli artisti, per la loro quasi totalità, tacciono. Ma quelli che parlano alzano, e di molto, il livello dello scontro. Ad aprile il gruppo hard rock dei Metallica ha denunciato Napster e ha presentato alla società una lista di ben 300 mila utenti che avevano usato il software per scaricare musica coperta da diritto d’autore. Napster ha obbedito alla richiesta di espellere i rei, ma la registrazione è assolutamente anonima e tutti hanno potuto reiscriversi con un nuovo pseudonimo. Nel frattempo molti giovani fan dei Metallica si sono sentiti traditi e hanno riempito internet di dichiarazioni di guerra contro i loro ex beniamini. Una nuova denuncia contro Napster è stata presentata dal rapper Dr. Dre, e il servizio è stato criticato da Paul McCartney, Madonna e Peter Gabriel, il cui nuovo cd Ovo, uscito nei negozi in questi giorni, era disponibile in rete già una settimana prima.
Dalla parte di Napster e della rivoluzione musicale si erano invece schierati i Limp Bizkit, giovane gruppo rock di straordinario e recente successo anche in Italia, che avevano scelto il software controverso come sponsor della loro tournée. Poi è arrivata Courtney Love. In un lungo e articolato discorso a un convegno sull’entertainment al tempo di internet, la vedova di Kurt Cobain, ha dimostrato dati alla mano come le case discografiche guadagnino cifre iperboliche sul lavoro degli artisti, lavorando scientemente per lasciare loro solo le briciole. E ha illustrato un progetto, un po’ utopistico ma studiato in ogni aspetto, per servirsi dell’industria solo per alcune parti irrinunciabili della distribuzione e della promozione, e scavalcarla, con l’aiuto di internet e persino di Napster, per raggiungere un numero maggiore di fans e tagliare i costi. “Come utente, io amo Napster”, ha detto la Love: “perché i discografici dovrebbero difendere il mio diritto d’autore, se me l’hanno già calpestato loro stessi?”
In Italia il dibattito è partito con qualche ritardo, ma la questione non poteva passare inosservata a lungo. «Non si tratta di negare una grande opportunità come Internet, che tra l’altro garantisce agli artisti una platea mondiale, ma il diritto d’autore va in qualche modo tutelato», dice Mauro Masi, commissario straordinario della Siae. E aggiunge «Anche se il problema va affrontato a livello globale, la Siae già da un anno e mezzo ha elaborato una licenza multimediale data ai siti che sono in regola con il diritto d’autore».
Come Vitaminic, concorrente italiano di Mp3.com, la prima creatura di Robertson. Vitaminic permette di scaricare dalla rete legalmente migliaia di brani musicali. Si tratta in gran parte di musica concessa da artisti sconosciuti che l’industria tradizionale non promuove (“ci danno porcate come Mambo No. 5 e non possiamo ascoltare artisti straordinari”, dice ancora Courtney Love della distribuzione tradizionale). Avendo la pazienza di indagare vi si possono trovare cose buone e inattese, che potrebbero avere un futuro, anche se finora non risulta che nessuno di loro abbia raggiunto la grande distribuzione attraverso questo canale. Ma su Vitaminic si trovano anche molti brani di artisti affermati, concessi dalle case a scopo promozionale, o per iniziativa degli stessi artisti. Malgrado l’offerta non sia lontanamente paragonabile a quella di Napster, la facilità di accesso a musica gratuita, e legale, ha creato una comunità grande abbastanza da attirare investimenti cospicui e permettere le campagne pubblicitarie di questi giorni.
C’è anche una novità: la Siae sta approntando una modifica al proprio sito per permettere a chiunque di chiedere e pagare la licenza multimediale direttamente online. «La tutela del diritto d’autore è una funzione di diritto pubblico. Non è una tassa ma una remunerazione per la creatività dell’artista, un riconoscimento», afferma Luciana Masi, avvocato che negli anni ha difeso numerosi artisti contro case discografiche sempre più esose, con percentuali riconosciute di diritto d’autore da fame. Come dire che non pagare il diritto d’autore nuoce ai big discografici, ma punisce più pesantemente i cantanti. «La vera novità è che la digitalizzazione sta cambiando le logiche di mercato, accorciando enormemente la catena della distribuzione a favore degli artisti», conferma Salvatore Romagnolo,direttore di Apogeonline.com, webzine sul mondo digitale.
Comunque vada a finire il processo contro Napster, è ormai chiaro che la circolazione gratuita del materilae su internet, il file-sharing, non sparirà. La tecnologia è parecchi passi avanti di qualsiasi intervento legale repressivo. Lo dimostrano gli altri software cugini di Napster che circolano in rete, ancora più sfuggenti a qualsiasi controllo, e che estendono la loro minaccia a qualsiasi tipo di documento, non solo gli mp3, come Gnutella e FreeNet. “Internet stessa è un programma di file-sharing, è stata creata per quello”, dice Hank Barry.
“Il mercato nero è morto con la fine del proibizionismo”, rincara Bob Glaser di Real Audio, il software con cui si ascolta quasi tutto l’audio di internet: “opporsi alla distribuzione digitale della musica è un errore”. E se da una parte è chiaro che la rete è diventata un mezzo formidabile per favorire la pirateria e la violazione del diritto d’autore, è anche vero che la legalità ha sempre un forte appeal da far valere. La copia originale, la distribuzione ufficiale, anche digitale, i packaging e le copertine, la garanzia di essere nel giusto, le eventuali altre offerte di marketing che l’industria saprà inventare, garantiscono secondo quasi tutti gli osservatori che internet è un terreno del tutto appetibile per la discografia, malgrado tutto. In fondo, ha sottolineato Business Week, l’ultima rivoluzione digitale, quella del cd, aveva fruttato guadagni oceanici in ristampe di vecchi dischi a costo praticamente zero. E se Napster e gli altri programmi di file-sharing più efficienti e fidati (oggi capita spesso di imbattersi in mp3 parziali, dai nomi sbagliati, con errori o interruzioni) sapranno creare una comunità pagante, e gli artisti useranno il web per diffondere meglio le loro opere e ridurre i costi, nell’era di internet ci sarà spazio per tutti. Altrimenti, sarà ancora guerra e orde di barbari, e la prossima terra di conquista è ancora più succulenta: circolano già le prime copie pirata di film nuovi e originali in qualità digitale.

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