Rivoluzioni

In questi giorni su Telepiù danno Brubaker a ripetizione. Brubaker è il più bel film di carcere di tuttitempi (e ce ne sono eccome). Quando alla fine lo sconfitto direttore liberale  Robert Redford con zazzerona d’ordinanza abbandona il carcere di Wakefield riconquistato dalla restaurazione, viene onorato da un improvviso saluto insubordinato e solidale di tutti i detenuti. È lo stesso finale dell’Attimo Fuggente di Peter Weir  tutta la storia è identica -, “O capitano mio capitano”. Quel finale dice: niente sarà più come prima.
Quel finale dice non vi fate ingannare. Si torna a casa, si ripulisce, si rimette tutto in ordine. Come dopo carnevale. Ma qualcosa è successo e niente sarà più come prima. C’è una differenza tra un carnevale e una rivoluzione, scrisse uno, a proposito di Tangentopoli (un carnevale). Rivoluzioni sono quelle in cui le cose dopo sono cambiate malgrado i nemici delle rivoluzioni si illudano che tutto sia tornato al suo posto. Le cose restituite a un’ordine simile al precedente, le posizioni rioccupate da chi le occupava prima. E soprattutto: i rivoluzionari sconfitti. Brubaker sostituito. Meglio ancora, i rivoluzionari piegati, ricondotti all’ordine naturale delle cose. I rivoluzionari che vengono a chiedere, i rivoluzionari che rientrano nel meccanismo che avversarono, i rivoluzionari che rientrano nei ranghi. Che gran soddisfazione. In Italia funziona così ormai da alcuni anni con il Sessantotto, quella cosa con quel nome. Pur di non vederne i frutti vincenti nel mondo e nelle cose che abitano, ci sono persone che a distanza di trent’anni gongolano e ironizzano sui rivoluzionari di ieri entrati nei ranghi di oggi e li chiamano i ranghi di ieri. Oppure c’è solo chi misura i risultati di una rivoluzione su quello che è successo ai suoi sostenitori e alle sue bandiere. Le banali ironie con cui ci si riferisce diffusamente alle memorie del femminismo, gli slogan, gli zoccoli, eccetera, sono un altro esempio della mediocre capacità di lettura delle cose, come se il femminismo fosse stato negli zoccoli. Invece che in tutte le cose  bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto  che quelle ragazze hanno vinto.
E poi c’è stata internet. Si dice che un giorno, di fronte a folle di giovani rampanti della new economy all’arrembaggio dei sistemi consolidati, orde di ragazzi imprenditori che con internet pretendevano di rivoluzionare tutto e abbattere i sistemi economici tradizionali, Eugene Ionesco intervenne in una chat online e annunciò sarcastico: “Sarete tutti notai!”. Ha avuto ragione, gongolano oggi quelli che per tutto il tempo della rivoluzione di internet sono stati seduti sulla riva del fiume ad aspettare i loro cadaveri. Ha avuto ragione, scrivono pavidamente tansfughi dall’enfasi del boom all’enfasi dello sboom. Le dot-com chiudono, gli impiegati tornano negli uffici di sempre, nei negozi del centro, a guidare i furgoni. Sono i Brubaker della rete. Sbolliti gli eccessi e l’enfasi dell’insurrezione, delle barricate degli inserti speciali e delle bandiere, la rivoluzione sedimenta la terra sotto i piedi dei suoi nemici. Internet sta dentro tutto ormai, i ranghi di oggi non sono più gli stessi, non lo sono gli uffici, non lo sono i furgoni. I notai non saranno più gli stessi, e anche Ionesco non si sente tanto bene. I rivoluzionari passano, le rivoluzioni restano.

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