Quando un anno fa la questione delle schede elettorali della Florida cominciò a trascinarsi preoccupantemente, molti dissero: ok, facciamola finita, quando l’arbitro fischia la fine il risultato è quello, anche se l’arbitro ha sbagliato e ha chiamato un fuorigico che non c’era. Molti dissero: Bush può fare il presidente, comunque, e lo faccia. Adesso negli Stati Uniti si pensa che quella incerta legittimazione giunta con tanta fatica l’anno scorso, sia stata consegnata al presidente Bush dai fatti dell’ultimo mese. Bush è stato legittimato, e dalla crisi, e dal modo di gestire la crisi.
Tra queste considerazioni è arrivata l’altroieri una nuova notizia, che ha molto a che fare con il ruolo dei media in questi tempi di unità nazionale, già assai discusso nelle ultime settimane. La notizia, diffusa da Salon su internet, è che un consorzio formato da alcune delle più importanti testate giornalistiche tra cui New York Times, Washinton Post, CNN e Wall Street Journal avrebbe deciso di rinviare la pubblicazione di una nuova ed accurata inchiesta sul voto della Florida alle presidenziali dell’anno scorso. L’inchiesta si dovrebbe basare su uno studio commissionato al National Opinion Research Center dell’università di Chicago nove mesi fa, e che sarebbe costato fino a oggi un milione di dollari. La notizia del rinvio è stata data en passant dal New York Times in un articolo più generale sulle conseguenze politiche degli attentati dell’11 settembre, in cui si sosteneva che la questione “avrebbe potuto riaccendere divisioni partigiane” e “sembra adesso del tutto irrilevante”. Al centro di ricerca era stato commissionato uno studio su tutte le 180 mila schede contestate e annullate nei seggi contesi in Florida. Una responsabile ha spiegato che i dati sarebbero stati consegnati a breve al consorzio committente, quando il NORC ha ricevuto istruzioni di trattenerli più a lungo.
Interrogati da Salon, i giornali interessati hanno fatto sapere di aver deciso il rinvio più per ragioni editoriali che politiche: non ci sarebbero adesso né le pagine né i giornalisti necessari a sfruttare a dovere una storia di questa portata. Che rischierebbe tra l’altro di essere ignorata e schiacciata, dopo essere costata tanti soldi e impegno. Voci sul fatto che i dati darebbero torto a Bush, e per questo ci sarebbero state pressioni per non diffonderli, stanno circolando ma sembrano del tutto pretestuose: “i risultati sono segreti e noti solo al NORC”. Ma la questione sul diritto-dovere di informazione si è riaccesa. Il rischio di un imbavagliamento generale delle informazioni e delle opinioni è al centro delle discussioni soprattutto dopo il licenziamento da due quotidiani locali di due giornalisti responsabili di editoriali anti-Bush, la settimana scorsa. E non è stato gradito per niente l’invito del portavoce della Casa Bianca per cui “la gente deve stare attenta a quel che fa, e a quel che dice”. Alcuni giornalisti interpellati da Salon hanno criticato la scelta del consorzio. “In una crisi come questa, ogni notizia deve essere ben ponderata, e capisco che il risultato dell’indagine venga rinviato. Ma a un certo momento, la storia va pubblicata”, ha detto Alex Jones, ex reporter del New York Times, “e quel momento è ora”.
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