Il coro della scuola

Chissà adesso, ma a metà degli anni Settanta ai bambini delle scuole italiane si insegnava a cantare Fratelli d’Italia e Bella Ciao, e Quel mazzolin di fiori. E Il Piave mormorava e la Marcia dei bersaglieri. A quel tempo, tra il 1976 e 1977, i bambini di quattro scuole della città di Langley, Columbia Britannica, venivano radunati nella palestra scolastica per cantare con il loro maestro di musica, Hans Fenger. Fenger aveva 29 anni e non aveva una grande competenza sull’insegnamento della musica, ma era un appassionato di canzoni pop e aveva letto dei libri sul compositore Carl Orff (quello dei Carmina Burana, per capirsi), che per buona parte della sua vita si era dedicatoa studiare modi a misura di bambino per insegnare la musica, progettando tra l’altro alcuni strumenti alla bisogna: xilofoni, metallofoni, chitarre, cimbali. Fenger così si mise accordo con i suoi allievi – tra i 9 e i 12 anni – per scegliere delle canzoni che i piccoli canadesi trovassero familiari e vicine. Quelle che andavano di moda e si sentivano alla radio. “The long and winding road” dei Beatles. “Space Oddity” di David Bowie. Tutte quelle dei Beach Boys. Eccetera. Senza spartiti né esperienza, I bambini si divertivano come dei matti, la palestra risuonava dei loro cori, gli incaricati degli strumenti di Orff si davano molto da fare e andavano fuori tempo, ma capivano come si fa la musica. Alla fine dell’anno, Fenger riuscì a far incidere in poche copie le registrazioni della palestra, e i dischi vennero venduti alle famiglie dei bambini per beneficenza.
Giugno del 2000: Irwin Chusid, appassionato fan e curatore di libri e raccolte di musica alternativa, riceve da un ascoltatore della sua trasmissione radiofonica una compilation domestica di vari brani, tra cui la versione di “Space Oddity” attribuita alle “Lochiel and South Carvolt Schools”. “Affascinato dall’arrangiamento inconsueto e ossessivo, la mandai subito in onda. Era la registrazione scolastica più strana che avessi sentito, e ne avevo sentite centinaia. Il coro, evidentemente giovanissimo, e l’orchestrazione, avevano qualcosa di straordinario e sinistro. Era qualcosa di più di una gradevole e curiosa band scolastica. Gli ascoltatori e le persone della radio reagirono entusiasti”. Chusid si mette in cerca di informazioni: l’ascoltatore ha preso la canzone da un vecchio disco trovato da un rigattiere (“uno degli accidenti più felici della storia musicale recente”, ha scritto poi il New York Times) e non ne sa niente. Alle scuole coinvolte nessuno si ricorda più di nulla, ma alla fine salta fuori il nome di Fenger. E Fenger, contattato, racconta a Chusid da dove viene la canzone e gli rivela di un secondo disco.
Il contenuto di quei dischi oggi è in un cd, pubblicato in America lo scorso autunno. Chusid ha dovuto bussare a una dozzina di porte, ma alla fine una piccola etichetta gli ha dato fiducia, e a ragione. Il disco del “Langley Schools Music Project” ha venduto trentamila copie in pochi mesi: che non lo rendono un concorrente per Eminem, ma ne hanno fatto un piccolo caso discografico. Su Amazon, è stato addirittura al primo posto delle vendite, e ancora nei giorni scorsi era centonovantesimo (Elton John e Britney Spears, usciti contemporaneamente, si trovavano intanto al numero 413 e 501). Una rete televisiva ha organizzato una “reunion” tra il maestro Fenger e i suoi ex alunni oggi trentenni, strappalacrime e straordinaria. Straordinariamente, più di metà di loro ha continuato a frequentare la musica: chi suonando per professione, chi lavorando come tecnico musicale, chi nelle radio, e chi semplicemente imparando a suonare uno strumento. I loro commenti, riportati sul sito della casa discografica Basta, sono commossi al ricordo di Fenger – che oggi insegna a Vancouver – e delle sue lezioni: “Mr. Cool”, che veniva a scuola con i sandali, i capelli lunghi, la sciarpa colorata e la chitarra a tracolla.
I giornali americani hanno attribuito il successo del cd anche al bisogno di rassicurazioni e memorie infantili che ha seguito l’11 settembre: c’è dentro una sincerità introvabile in nessun cd i cui interpreti sanno che dovranno vendere, avere successo, fare colpo. Persino nei due momenti solisti più banali e nikkacostiani, le canzoni sembrano nuove, diverse. I bambini sembrano dare loro nuovi significati o ignorare quelli originari. In quelle più tristi, come “Space Oddity” (“un capolavoro di cui io non sarei stato capace”, ha commentato David Bowie), o “Desperado” degli Eagles, le voci infantili aggiungono qualcosa di misterioso e disperato: “Songs of innocence and despair”, è il titolo che Chusid ha scelto per la raccolta. Ma quando, in “Band on the run” dei Wings , i ragazzini urlano “I hope you’re having fun” – “spero che tu ti stia divertendo” – si capisce che sanno quello che cantano.

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