Il re del rock’n’roll

Solomon Burke, non è che dobbiate per forza sapere chi sia. Magari sapete chi è Tom Waits, o Elvis Costello. Ecco, lui invece non sapeva chi fossero, né l’uno, né l’altro. “Bob Dylan, sì sapevo di lui, e mi ricordavo anche di Brian Wilson dei Beach Boys, ma alcuni degli altri non sapevo neanche che esistessero”. Gli “altri” sono la decina di leggende viventi del rock che hanno scritto le canzoni del suo nuovo disco, del disco di Solomon Burke. Che, non dovete per forza saperlo, ha 62 anni ed è noto come “The King of Rock’n’Soul”. Lui pure è una leggenda, per chi conosce il soul e il blues, e per chi ha frequentato il Porretta Soul Festival gli anni passati. Una delle voci più ammirate e rispettate della storia della musica nera, una carriera che lo ha portato a grandi popolarità e dischi vendutissimi negli anni Sessanta, quando Burke disegnava l’immagine della Atlantic Records, etichetta di culto per il periodo d’oro del soul. Poi vennero Otis Redding, Wilson Pickett e Sam and Dave, e il reverendo Burke si fece da parte alternando nuovi apprezzati dischi all’attività religiosa nella chiesa battista fondata da sua nonna, la House of God for All People. Erano diversi anni che non incideva un disco, e alla piccola etichetta Fat Possum hanno avuto questa idea: di chiedere in giro ai grandi songwriter internazionali delle canzoni per lui, scritte apposta per la sua sensazionale voce nera. Certo, penserete voi: è la solita operazione trita e ritrita per rilanciare un dinosauro del rock sul viale del tramonto e sconosciuto al pubblico contemporaneo. Facciamolo suonare con qualcuno di famoso, una canzonetta di questo, un coretto di quello, che i giornali ci possano fare un titolo: e il risultato è quasi sempre mediocre per tutti. Quasi sempre.
Con il re Solomon Burke, l’idea ha funzionato: e nessuno può accusare chi l’ha avuta di ammiccare al pubblico giovane. Tra i molti che hanno aderito all’invito, i prescelti sono stati infatti Dylan, Van Morrison, Tom Waits, Costello, Carole King, Nick Lowe, Brian Wilson. Tutta roba da vecchi intenditori, con l’aggiunta di Joe Henry, uno dei migliori autori degli ultimi anni (ahilui più noto per essere il cognato di Madonna, ma non vi lasciate ingannare), che ha anche prodotto il disco. “Lavorare con lui è stato fantastico, i miei figli (alcuni di loro, n.d.r., visto che ne ha 21) erano entusiasti”. Burke è emozionatissimo del “grandissimo onore” che ha ricevuto: “questo Costello è venuto dall’Inghilterra apposta per me. Ho pensato di chiedergli un autografo”. E con la sua voce da cinema scherza: “loro sono delle vere rockstar, mica come me: ma spero ancora di diventarlo, magari uno di questi giorni”. La canzone che dà il titolo al disco è stata scritta da Dan Penn, autore di molti grandi classici del soul: “appena l’ho saputo, ho detto ‘c’è davvero una canzone di Dan Penn? E che aspettate a farmela sentire?'”. E sembra scritta per lui, soprattutto dove dice “Per favore non mi abbandonate, lo so che è tardi”. In altre canzoni Burke decide di ringraziare a suo modo tirando in ballo gli autori stessi, e inserisce i nomi di Bob Dylan e Joe Henry tra un verso e l’altro. “È meraviglioso pensare di poter fare sentire la mia musica a persone nuove, è una cosa straordinaria”, dice esibendo un’umiltà gigiona e ammaliante. “La mia carriera? La mia carriera è nata il giorno in cui sono nato”: a sette anni cantava in chiesa in Pennsylvania, Burke, e adesso parla un sacco di Dio e di quel che Lui e la musica possono dare alle persone: quest’inverno pubblicherà un disco natalizio di gospel, che potrebbe essere una vera chicca o l’ennesimo disco natalizio. Ma è più facile la prima. Nel soul, se non finisci a cantare la canzone di Rocky, puoi invecchiare bene. Solomon Burke, non è che dobbiate per forza sapere chi sia: ma lui è onorato di avere cantato per voi.

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