Quest’uomo parla chiaro. Piace molto, il presidente Bush, col suo non mandarle a dire. Parlar chiaro, poche ciance, quando ci vuole ci vuole: c’è tutta un’area semantica che riempie le bocche dell’interventismo versione terzo millennio ed eccita i machismi di ambo i sessi (revisionismi: è tornato di moda il machismo). Una comunità in cui si incontrano persone a cui a un certo punto è sempre piaciuto passare all’azione, persone a cui sarebbe sempre piaciuto ma non c’era mai nessuno che dicesse “azione!”, e persone in cui anni di moderazione ed equilibrio hanno incubato un represso prurito delle mani. Ed ecco qua, benedetto, l’uomo che parla chiaro. Quello che se ne infischia della diplomazia (come se la diplomazia non avesse una sua diplomatica e dimostrata ragion d’essere), e dice: “noi siamo i numero uno, e nessuno si azzardi a pensare di batterci”. Non è che lo pensa: lo dice. Fa la sua differenza, capirete. I bambini, prima di decidere per che squadra tenere, chiedono “chi è il più forte?”. Guardano chi vince. Cambiano squadra se vedono di aver puntato sul cavallo sbagliato. Ed ecco qua, uno che dice “noi siamo i più forti”, e promette che sarà sempre così. Trofei, scudetti e coppe dei campioni garantite forever: e a scuola, la mattina dopo, poter sempre essere quelli che sfottono. Il machismo, tra i bambini, è normale. Gli adulti, invece, sperano che qualcuno dica loro “noi siamo i più giusti”, per poter stare da quella parte (Thomas Friedman l’ha scritto sul New York Times, “noi siamo i buoni, cerchiamo di dimostrarlo”: e parlava della stessa squadra). Ci vuole un po’ a passare dai più forti ai più giusti, ma ci si arriva.
Prima, però, parlar chiaro, piace molto. E importa fare anche i conti con quello che si dice? Per esempio, se uno dice “da oggi, o con noi o contro di noi”, e un anno dopo si trova che Blair è con lui e quattro stati canaglia sono contro di lui, ma Russia, Cina, Pakistan, Germania, Francia, Arabia Saudita e mezzo mondo stanno esattamente un po’ con lui e un po’ contro di lui, forse dovrebbe tener conto del risultato del suo proclama. Forse non è stato così furbo: a far corrispondere le parole ai fatti, dovrebbe attaccare Berlino. Ma la corrispondenza non è tenuta in gran considerazione, appunto. Come quando vai alle Nazioni Unite e dici “Se l’Iraq vuole la pace, deve immediatemente e senza condizioni abbandonare, mostrare e distruggere tutte le armi di distruzione di massa, missili a lungo raggio e materiali simili”. Poi quando Saddam dice che lo farà, bisogna che vai a vedere il suo bluff (che si sta già svelando, infatti): l’hai chiamato tu. O puoi dire “chissenefrega, noi attacchiamo lo stesso”? O la nuova dottrina Bush, sostiene – parlar chiaro per parlar chiaro – “parlo chiaro, tengo anche dei bei discorsi, e poi faccio quello che mi pare”?
La capacità di visione che sembra esserci in molti punti del documento Bush sulla sicurezza nazionale (aiuti economici, sviluppo delle democrazie) è completamente rimossa quando l’eccitazione del “parlar chiaro” ha il sopravvento (“In altri punti, il documento sembra più un pronunciamento dell’Impero Romano o Napoleone”, editoriale del New York Times; “Dicono che Bush stesso l’abbia ammorbidito nei toni: e prima cos’era? Il dottor Stranamore?”, Jonathan Alter, NBC; “La dottrina Prima-spara-poi-domanda”, William Saletan, Slate). Parlar chiaro, se significa per esempio dire alla Cina “la nostra forza sarà abbastanza solida da dissuadere i potenziali avversari dal perseguire un armamento che dia loro speranza di eguagliare o sorpassare quello degli Stati Uniti”, non è di grande aiuto alle relazioni future con quel paese, nè con nessun altro. Azione! (Maureen Dowd, sempre sul Times, suggerisce che gli uomini di Bush siano mossi da un desiderio di rivincita che viene dal Vietnam e quel maledetto elicottero sul tetto dell’ambasciata di Saigon – i fighetti del college che vogliono farla pagare ai post-sessantottini e rimettere le cose al loro posto – e che le loro motivazioni siano culturali piuttosto che logiche. Un po’ forte, ma non distante da quel che sembra di veder qui in alcuni appassionati interventismi). Quando poi lo stesso documento dice che la strategia di sicurezza nazionale seguirà le linee del “tipico internazionalismo americano”, viene a mancare anche la tanto apprezzata chiarezza. Esiste un tipico internazionalismo americano? E qual è? Quello che sconfisse il nazismo o quello che sostenne Pinochet? Quello che andò e venne dal Vietnam o quello che liberò Sarajevo? Quello che crebbe Saddam o quello che lo cacciò dal Kuwait? Il “tipico internazionalismo americano” sembra una definizione da estremisti anti imperialisti, tanto è assurda. Però ha un bel suono, a dirla. La dottrina Bush suona sempre benissimo.
Nelle strisce di Schultz, fondamento di ogni saggezza, Snoopy citava spesso questa massima: “Parla piano e vai in giro armato”. La conoscono quindi anche i bambini, prima di scoprire che è famosa per essere stata usata da Theodore Roosevelt (che a sua volta diceva di riprenderla da un proverbio africano): Roosevelt vi aggiungeva “e andrai lontano”. Bambini di tutto il mondo oggi non hanno più voglia di parlar piano, sarà che Schultz è morto e vanno forte i fumetti giapponesi. Hanno voglia di parlar chiaro e andare in giro armati. Speriamo abbiate ragione voi, bambini.