Quello degli Style Council

Paul Weller, quello degli Style Council, direte voi. Oppure, direte, Paul Weller chi? Quello degli Style Council, risponderà qualcuno. È buffo che il breve periodo della venticinquennale carriera musicale di uno dei più creativi musicisti inglesi che più lo ha reso celebre nel mondo – Paul Weller, quello degli Style Council – sia invece ritenuto nel suo paese, “un passo falso”, “una caduta”, “una fase intermedia, disimpegnata”.

Venticinquennale, già. Nei mesi scorsi si celebravano i venticinque anni del punk, il movimento che improvvisamente agitò la scena musicale e sociale dell’Inghilterra. Ma laggiù si è festeggiata anche la stessa ricorrenza per la nascita dei Jam, il primo gruppo di Weller, che alcuni legano a quel movimento, e altri dissentono. “Il punk fu una cosa buona, allora, c’era bisogno di una scossa”, dice oggi Weller e pare accodarsi alle commemorazioni. E invece, prosegue: “ma il punk non ha cambiato il mondo e di certo non è che allora tutti in Inghilterra impazzissero per il punk”. Ci sono critici musicali che hanno spiegato che da allora la musica è cambiata, che se non fosse stato per il punk “staremmo ancora ascoltando Emerson, Lake and Palmer”: “A parte che io Emerson, Lake and Palmer non li ho mai ascoltati, ma dov’è questo cambiamento? Prima c’erano i Rolling Stones e i Pink Floyd e oggi ci sono i Rolling Stones e i Pink Floyd, e vanno sempre fortissimo. Quanto a cambiamento, e parlo anche dei ragazzi giovani, quelli che ascoltano la musica, di sicuro è stata ed è più importante la musica nera, il soul. Più del fottuto punk”.

Nel 1977 i Jam pubblicarono il loro primo disco. Erano in tre – Weller aveva diciott’anni – e si guadagnarono subito uno status di culto insieme a una popolarità da classifica. Univano una devozione agli anni Mod dell’Inghilterra e ai suoi miti musicali (Kinks e Who, su tutti), a una sensibile passione per una musica più tosta, schietta e sincera del rock di quei tempi, dominato dalle superbands paludate: Yes, Genesis, Led Zeppelin (“Robaccia, ma Page e Bonham erano bravi”). Questo li fece nascere parallelamente ai giovani gruppi punk, a cui il loro nome è ancora associato, appunto: “io direi che i Jam erano semplicemente un’ottima pop-band inglese, e dico pop nel senso della cultura popolare da cui venivano”. Ma il punk si spense presto, mentre i Jam continuarono a fare dischi e a entrare in classifica per dieci anni, senza però mai sfondare fuori dalla Gran Bretagna come invece accadde ai loro cugini Clash. “Se oggi qui in Inghilterra sono così popolare, è per via dei Jam”. Concluso quel periodo, il cambio fu radicale: Weller si prese l’amico Mick Talbot e formò gli Style Council, un duo di pop sofisticato ed elegante che si inserì – sovrastandola di una spanna – nell’ondata musicale britannica degli anni Ottanta, quella dei videoclip, della nuova dance, e tutto quanto. Dopo sette anni di grande successo in tutto il mondo, ma in una fase di declino che colpiva sia loro che quei tempi in generale, si sciolsero anche gli Style Council. Somiglianze tra le due storie, Jam e Style Council? “Beh, sono finiti tutti e due. Ecco. Ma con gli Style Council, a pensarci oggi, forse potevamo chiudere anche un po’ prima”.

Da allora Weller, grande chitarrista a cui i fan chiedono in stragrande maggioranza domande di tecnica strumentistica (sul sito www.paul-weller.com), incide a cadenze discontinue dischi da solo: in questi giorni esce “Illumination”, dove la sua passione per i suoni degli anni Sessanta coinvolge cose funky e soul. “Dopo un po’ che fai il musicista, un certo stile ti rimane addosso: quello che è più importante per me è scrivere canzoni”. Nel disco intervengono Noel Gallagher degli Oasis e Kelly Jones degli Stereophonics, ma viene da chiedersi perché: Weller sembra sovrastarli entrambi, l’uno con la chitarra e l’altro con la voce. In passato ha suonato con Stevie Winwood, Pete Townshend, John Martyn, Terry Callier. E mentre un sondaggio online ha scoperto che la sua vecchia “You do something to me” è la canzone romantica preferita dalle donne inglesi (davanti a “With or without you” degli U2) , si è fatto il suo nome anche per una onorificenza istituzionale: “Se la mettano in quel posto. E abbassino le tasse, piuttosto”. Dai tempi dell’impegno, dell’antithatcherismo, qualcosa è cambiato, oppure no. “Questa cosidetta “guerra” mi fa incazzare, quando vedo donne e bambini affamati, mutilati o uccisi. Non sopporto propaganda e ipocrisia. Che i taliban fossero nostri buoni alleati quindici anni fa contro i russi e poi siano diventati il nemico numero uno. Quindi la musica, preferisco che sia ispirata dall’amore o da qualcosa di positivo: sono stufo di queste band arrabbiate e lamentose e che suonano da far schifo”. Desideri? “Spero che il disco vada bene, alla fine ogni volta hai le stesse emozioni quando fai un disco nuovo. Ma la cosa più importante è suonare dal vivo”. Suonare dal vivo o scrivere canzoni? “Se non scrivi canzoni, cosa suoni dal vivo?” Le canzoni degli altri: Weller da tempo dice di progettare un disco di covers. “Già, vero. Ok, suonare per un pubblico è la cosa più importante”.

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