My name is Rock (Mick Rock)

Il libro pesa due chili e otto etti. Lo so perché l’ho pesato. Il pony che l’ha portato a piedi al terzo piano ha preteso la mancia. L’ho tolto dalla busta in cui l’avevano avvolto al giornale, prima di mandarmelo a casa, e l’ho deposto sulla scrivania. Ha la copertina rilegata in pelle e tela colorate di blu, arancione e oro, e il filo delle pagine argento. Lungo la costola corrono alcune saette dorate. Ho provato ad aprirlo: centinaia di foto a colori e in bianco e nero, molte pagine traslucide, riproduzioni di pellicole virate rosso e di appunti manoscritti. Liste di canzoni, testi di canzoni. Ho richiuso il libro. Qui ci vuole tempo.

Il libro si intitola “Moonage daydream”. Sottotitolo, “The life and times of Ziggy Stardust”. Il titolo cita una canzone di David Bowie del 1972. “Ziggy Stardust” era il protagonista di uno dei più celebri dischi di David Bowie, titolo completo “The rise and fall of Ziggy Stardust and the spiders from Mars”. I nomi degli autori del libro sono iscritti in argento sulla costola del libro: “David Bowie & Mick Rock”. Bene, il libro ha chiaramente a che fare con David Bowie: raccoglie foto, appunti, ricordi e memorabilia del suo periodo più creativo e leggendario, quello “glam” (viene da “glamour”: il glam-rock è il modo con cui si definisce la voga musicale degli anni Settanta che aveva come caratteri principali il travestitismo dei suoi protagonisti, e degli arrangiamenti eclettici e spesso carichi). E David Bowie è l’autore dei testi del libro, didascalie e commenti odierni al museo di se stesso. Ma Mick Rock, chi è?
Mick Rock è quello che ha fatto le foto. Mick Rock è “l’uomo che ha fotografato gli anni Settanta”, come è noto tra chi se ne intende. Mick Rock è il fotografo che ha seguito David Bowie durante tutto lo straordinario periodo di dischi come Diamond Dogs, Pin Ups, Aladdin Sane e Ziggy Stardust. Il fotografo ufficiale di Bowie, se nella sfrenatezza di allora avesse avuto senso una definizione così formale. Ma Mick Rock fu anche il fotografo di periodi eccezionali delle carriere di Lou Reed, di Iggy Pop, dei Queen, dei Blondie. E sì, la risposta è sì: Mick Rock è il suo vero nome.

Michael David Rock è nato a Londra nel 1949, ha studiato a Cambridge, si è trovato ventenne nei Settanta londinesi, e ci si è buttato a capofitto (“avevo studiato i poeti francesi, e alcune delle loro cose mi hanno guidato verso il rock’n’roll”). Anche se ci ha messo un po’ a decidere se voleva fare il giornalista o il fotografo: quindi ha cominciato con tutti e due, mettendosi sulle tracce delle star del rock più rivoluzionarie del tempo, a cominciare da Syd Barrett dei Pink Floyd. Poi, un giorno del 1972 in cui riuscì ad arrivare nel camerino di David Bowie per intervistarlo per Rolling Stone, cominciò la loro lunga convivenza on the road, come racconta nell’introduzione al libro. Oggi si vedono e si sentono ancora: hanno lavorato assieme al libro, che è uscito lo scorso autunno per celebrare il trentennale della pubblicazione di Ziggy Stardust. Mick Rock vive a New York e ha 54 anni. Nella piccola foto che firma l’introduzione è esattamente come te lo aspetti: come un inglese di 54 anni che ha vissuto l’epoca d’oro del rock, come uno dei Queen rimasti in vita o dei Led Zeppelin, ancora con i capelli lunghi e gonfi e gli occhialoni da sole. Come uno di “Almost famous”, il film di Cameron Crowe sugli anni ruggenti del giornalismo musicale americano: “Certo che l’ho visto”, dice Mick Rock, “e mi è piaciuto. Ma non è la nostra storia. Quella è una storia molto americana, con gli Eagles e quei gruppi lì. Noi eravamo diversi, più glam: è come se ci avessi visto un altro lato del mondo che completa quello che ho conosciuto io”. Rock ha una voce radiofonica e gentile, malgrado gli siano passate sopra diverse sfrenatezze e un bypass installato sei anni fa. Si scusa di non parlare l’italiano, malgrado i suoi nonni fossero di origine italiana. E non gli è mai venuta voglia di venire a cercare le sue radici, come fanno certi? “Beh, ho avuto molto da fare…”. Ha ancora assai da fare oggi: “Le tendenze grafiche e artistiche degli anni Settanta sono sempre molto di moda, e tutti quelli che vogliono ottenere un effetto del genere chiamano me. I direttori delle riviste, la gente della moda, sono appassionati di quel gusto e di quei tempi e vogliono lavorare con me. Anche i giovani, perché io rappresento quel periodo”. E nel frattempo, c’è stato il libro, e a maggio verrà una pubblicazione analoga sui Queen, e l’anno prossimo Lou Reed. Un archivio sterminato di scatti viene riaperto ed esibito. Rock sa tenere i piedi in ognuna delle sue epoche: “Gli anni Settanta sono come la mia prima moglie. Eravamo ingenui e facevamo fesserie, ma eravamo giovani, e io credo che da giovani si debba provare a farle grosse, alzare il tiro. Volevamo vivere una vita avventurosa, volevamo épater”. Quindi era meglio allora o adesso, l’eccesso o la normalizzazione? “Non so cosa è meglio, io mi diverto anche oggi. Ma forse abbiamo visto l’ultima era ribelle del rock’n’roll prima che l’industria se ne impossessasse. Oggi faccio un’intervista a settimana: avrebbero dovuto intervistarmi allora, invece allora ero io che intervistavo gli altri. Ma oggi non ho tempo di guardarmi indietro e rimpiangere niente, me la godo ancora troppo. Sai, il passato è una bella cosa, ma non bisogna identificarsi troppo. Io sono stato fortunato”. Sono stato fortunato, lo ripete quattro o cinque volte mentre parliamo. A un certo punto è “quasi morto” (“dovevo pagare per i miei peccati”), spiega a proposito della sua operazione chirurgica.

Ho preso un paio d’ore, ho staccato il telefono, e ho riaperto il libro. C’è il corpo efebico e ossuto del giovane Bowie, ci sono Iggy Pop, Lou Reed e Mick Jagger con lui, ci sono foto di concerti di quelle che creavano scandalo, copertine, stivaletti di pelle, scherzi, preghiere, cappelli, ricordi, borchie, fellatio mimate in scena e acconciature da arresto immediato. Ci sono 659 fotografie. In questi casi si parla di “un pezzo di storia del rock”, o di “miti” e cose così. Io l’ho trovato tenero, e commovente.

Abbonati al

Dal 2010 gli articoli del Post sono sempre stati gratuiti e accessibili a tutti, e lo resteranno: perché ogni lettore in più è una persona che sa delle cose in più, e migliora il mondo.

E dal 2010 il Post ha fatto molte cose ma vuole farne ancora, e di nuove.
Puoi darci una mano abbonandoti ai servizi tutti per te del Post. Per cominciare: la famosa newsletter quotidiana, il sito senza banner pubblicitari, la libertà di commentare gli articoli.

È un modo per aiutare, è un modo per avere ancora di più dal Post. È un modo per esserci, quando ci si conta.

Abbonamento mensile
8 euro
Abbonamento annuale
80 euro