Che ci siano persone disposte a tagliarsi una mano per dimostrare di avere avuto ragione, che “l’avevo detto” e “chiedete scusa” abbondino sulle bocche, eccetera, si sa. C’è chi è arrivato a sperare che vincesse Saddam, pur di averla vinta. Non dovrebbe essere importante, aver avuto ragione o torto: ma è vero che anche le pulci hanno diritto ad avere la tosse. Quindi. Chi abbia torto e chi ragione, lo si dimostra in due modi: o continuando a esibire all’infinito le ragioni proprie e i torti altrui a piacimento, oppure cercando di stabilire finalmente dei criteri, laddove ci possono essere. Sto scrivendo un pezzo da Alberoni? Boh. Comunque: a stabilire dei criteri, nel weekend ci hanno provato prima Umberto Eco sull’Espresso e poi Tommaso Padoa-Schioppa sul Corriere della Sera. A Padoa-Schioppa è venuto meglio, ma vediamo.
La questione è se le scelte e le azioni debbano essere giudicate in base ai risultati – col senno di poi – oppure se abbiano valore a priori. È una questione sorella e successiva a quella di cui abbiamo discusso finora: se i risultati debbano essere giudicati in base alle intenzioni di chi li ottiene. Certo che ne abbiamo discusso: cos’altro era tutta la storia del petrolio? L’abbattimento di Saddam e la fine della dittatura sarebbero stati meno auspicabili se a procurarli fosse stato il desiderio americano di mettere le mani sul petrolio? Ovviamente no, ma l’avverbio si è dimostrato fuori luogo. Rimaniamo ancora un momento sulle intenzioni, poi passiamo ai risultati: quello che voglio dire è che se io aiuto una vecchietta ad attraversare la strada perché sono buono ed educato, o per fare colpo sulla ragazza che mi sta guardando, o per ottenere una mancia dalla vecchietta, l’atto di aiutarla non è più o meno giusto per questo. Quello che cambia è il giudizio su di me: sarò un generoso altruista, un pappagallo vanesio o un avido interessato. Ma sarà comunque un bene che l’abbia aiutata e sarebbe stato peggio se non l’avessi fatto. Le azioni hanno un valore indipendentemente da chi le compie (qui si apre un discorso lungo su quelli che rimproverano sempre agli altri di non essersi comportati coerentemente: e perché non aiuti tutti le vecchiette del mondo, allora? E perché da giovane una volta non hai ceduto il posto a una signora? Eccetera, come se la coerenza nell’errore fosse un valore maggiore di una singola buona azione, come se fossero più apprezzabili cent’anni da pecora e basta che cent’anni da pecora e un giorno da leone. Succede continuamente, avrete presente). Il risultato giustifica i fini, insomma. Ma i mezzi?Veniamo ai mezzi: Eco vuole ribattere a chi ha voluto la guerra e ora va gongolando che la rapida vittoria americana in Iraq gli abbia dato ragione. Ovvero affronta questo punto: dobbiamo consentire che alcuni dei timori che avevamo opponendoci alla guerra si sono rivelati infondati, per ora, e quindi rivedere quella posizione, eventualmente mantenendola lo stesso? Eco la risolve sbrigativamente, sostenendo che i fatti a oggi non hanno in realtà dato nessuna ragione vera agli interventisti. Ha ragione quando dice che è presto per giudicare, ma questo non significa che un giudizio parziale non si possa comunque dare. A metà campionato non si sa chi ha vinto lo scudetto, ma si sa chi è primo a metà campionato: non è che non si fanno classifiche perché è presto. E a questo punto si può fare un bilancio parziale delle cose che noi contro la guerra temevamo sarebbero accadute, e che a oggi non sono accadute: non si è scatenato il terrorismo internazionale, non si sono coinvolti altri paesi nella guerra, non si sono compattate le masse arabe antiamericane, non è diventato un altro Vietnam, non si è fatto di Saddam un martire, non sono morte milioni di persone. Per contro: sono morte migliaia di persone, non si sono trovate armi di distruzioni di massa, non si è dimostrato nessun legame rilevante tra Saddam e bin Laden. Nessuno di questi dati è definitivo, fuorchè quello sui morti in guerra e il fatto che la dittatura sia stata abbattuta. Che la gestione del dopo Iraq sarebbe stata difficile lo sapevamo tutti, vedremo quanto lo sarà: a oggi ognuna delle due fazioni di polemisti trionfa di piccoli sintomi, una manifestazione antiamericana quaggiù, una filoamericana laggiù. Per chi vuole avere ragione costi quel che costi, qualsiasi rondine fa primavera.
Padoa-Schioppa fa un’analisi più equilibrata – o più cerchiobottista diranno i faziosi – che dimostra non esistere la quadratura del cerchiobottismo: ci sono fatti che dimostrano la ragione di chi li aveva previsti, ma ce ne sono altri che avvengono per un concorso di circostanze di cui nessuno si può attribuire la previsione (un conto è se avviene una cosa di cui eri certo per valutazioni di fatto e di cause ed effetti, un conto è se avviene per una botta di fortuna, un alito di vento, un giro di roulette), e altri ancora che non hanno nessun peso di fronte alla violazione di regole, principi e valori: “non sono i fatti, ma l’adesione a un principio costituzionale ed etico, a stabilire se e in quali circostanze sia ammissibile la guerra preventiva”, dice Padoa-Schioppa. Qui entra anche in ballo la grande questione dell’emergenza: se i risultati consentano le violazioni di leggi e principi, si tratti di terrorismo, mafia o tangentopoli, fino al caso dell’uso della tortura per salvare delle vite (per salvare dei portafogli, non se ne dovrebbe discutere).
Torniamo all’Iraq: è vero che chi era a favore dell’intervento non ha dimostrato quasi niente, se non la breve durata della guerra su cui però erano d’accordo quasi tutti quelli ragionevoli. Riparliamone tra un anno, la partita si gioca adesso. Ma che le ragioni degli interventisti non siano state per ora dimostrate, non può diventare un punto a favore dei contrari alla guerra – come chiede Eco – delle cui ragioni si può dire, per ora, lo stesso. Con l’eccezione di chi pensava che anche un solo morto sarebbe stato troppo per la caduta di Saddam: i più integri nemici della logica dell’emergenza. Agli altri la fine della dittatura, vista davvero, fa un effetto più convincente che a pensarla prima. Quanto ci costerà, dobbiamo ancora vederlo. Io incrocio le dita e spero di avere avuto torto, anche per un alito di vento, una botta di fortuna, un giro di roulette.