Ho cominciato a leggere tutto quello che trovavo su Krishnamurti quattro anni fa. Prima non avevo un’idea di chi fosse, e se avevo sentito il suo nome lo avevo associato a qualche divinità indiana, o a qualcosa di lugubre, o a entrambe le cose. Poi feci un viaggio di alcuni giorni in Rajahstan e da qualche parte venne fuori un brandello della sua storia. Che adesso provo a raccontarvi.
Krishnamurti non era una divinità: era nato a Madanapalle, in India – non lontano da Madras – nel 1895. Il suo nome significa “Krishna in terra”, in onore di una delle incarnazioni di Visnù. Suo padre lavorava allora come impiegato dell’amministrazione britannica. Ottavo figlio, a quattordici anni Krishnamurti era molto legato a suo fratello piccolo Nitya, con cui si trovava lungo la riva del fiume ad Adyar – dove il padre lavorava – quando fu notato da Charles Leadbetter.
Leadbetter era un imponente uomo barbuto, un inglese, e questo fu quello che vide Krishnamurti quel giorno. Ma era anche una delle due più importanti figure della Società Teosofica, “una sintesi di scienza, religione e filosofia” creata nel 1875 al fine di “favorire la fratellanza universale dell’umanità” da una rotonda signora russa di nome Helena Petrovna Blavatsky, spiritista, chiaroveggente e mistica. La signora Blavatsky aveva attinto alla storia delle religioni di mezzo mondo e a diverse filosofie per creare la sua dottrina, con un forte penchant verso le fedi orientali, e ne aveva stabilito il quartier generale ad Adyar, nei pressi di Madras. Raccogliendo dalle religioni indiane la teoria della reincarnazione in stadi di evoluzione crescenti e la fede nei Maestri, figure divine e terrene al tempo stesso, la teosofia aveva rapidamente raccolto un cospicuo seguito in tutto il mondo; ma quel giorno al fiume la signora Blavatsky era già morta da un pezzo dopo averne perso la guida travolta da una serie di rivelazioni sul carattere non del tutto sincero di molte sue visioni e rivelazioni. Venne fuori che la signora possedeva tutto un armamentario da prestigiatore per allestire i suoi presunti contatti con entità ultraterrene (i Maestri).
Alla guida della Società erano assurti allora un’appassionata militante politica inglese, Annie Besant – impegnata nella difesa dei diritti delle donne, e poi degli indiani, e di molte minoranze – e Charles Leadbetter, ex prete ed enfatico predicatore. Nelle loro mani si era formato il progetto del nuovo messia che i teosofi attendevano perché mostrasse la via verso una nuova era di fratellanza e illuminazione. E qui entra Krishnamurti, piccolo vagabondo lungo la riva del fiume con il fratello Nitya.
Quando Leadbetter vide Krishnamurti, già alcune accuse di pedofilia si erano levate nei suoi confronti, ma tutto era rientrato. Negli anni successivi ne avrebbe sopportate di ben più pesanti e malgrado gli scandali se la sarebbe sempre cavata. Ma è indubbio che ad attrarre la sua attenzione quel giorno fu la bellezza dei due ragazzini. Leadbetter aveva già molti giovani discepoli con sé e invitò i due a seguirlo. Nelle settimane successive ottenne dal padre, un convinto teosofo, di occuparsi della loro educazione. Leadbetter era un invasato millantatore, ma era anche un uomo intelligente e non privo di buona fede in quello che predicava: si convinse e convinse Annie Besant che i due ragazzini avevano qualcosa, un’aura, che valeva la pena di coltivare. Non erano i primi due, né sarebbero stati gli ultimi, a ricevere questa candidatura, ma presto Krishnamurti fu investito definitivamente e unicamente della missione eletta, grazie alle garanzie di Leadbetter che giurava di vedere in lui una luce soprannaturale: a quindici anni, divenne il messaggero terreno della volontà dei Maestri e tutte le attese e il lavoro della Società e dei suoi adepti si concentrarono su di lui.
Krishna, come veniva chiamato, fino ad allora non era stato messaggero di quasi nulla: in casa e a scuola lo consideravano quantomeno un po’ lento. Si distraeva, si perdeva, aveva grosse difficoltà a imparare le cose. Spesso Nitya gli faceva da balia, andandolo a cercare in giro o sottraendolo ai guai. Quello sveglio era Nitya, che poi invece passò la sua breve vita a fare da adorato servitore a suo fratello tonto.
Non era tonto, Krishnamurti: nelle mani di Leadbetter guadagnò rapidamente modi e atteggiamenti elegantissimi e straordinari. Imparò qualsiasi cosa, dall’inglese al messaggio dei teosofi, e cominciò presto a sbalordire tutti quelli che lo incontravano per la sua grazia e il suo fascino fisico e intellettuale. Era un giovane indiano bellissimo che stava entrando in aristocratici costumi inglesi, e si stava educando a una fede di amore e fratellanza. Krishna stava diventando l’uomo perfetto.
Mi fermo: a me da quattro anni fa impressione questa cosa, che Krishnamurti possa essere stato davvero un uomo perfetto. Più cose leggo di lui, e meno trovo una pecca, una caduta, una piccolezza nel suo pensiero, nelle sue azioni e nella sua coerenza. Persino Gesù, che per i teosofi era il modello del messia che attendevano, e per noialtri la più brava persona della storia del mondo, persino Gesù quella volta con i mercanti nel Tempio perse la pazienza e gli scappò la mano. Krishna no: e poi possedeva – e possedette per tutta la sua vita – dei tratti di perfezione moderna che a Gesù non furono concessi. Era elegantissimo, conosceva le lingue, e gli piacevano le automobili.
Krishnamurti si trovò calzate addosso le vesti del messaggero degli dei e le portò meglio che poteva: perfettamente. Dapprima si trattò solo di incarnare il repertorio estetico del messia, ma presto la sua predicazione divenne aderente agli insegnamenti ricevuti, appassionata e luminosa. I Maestri guidavano i suoi gesti e le sue parole. La teosofia godeva allora di un seguito davvero notevole in tutto il mondo, e soprattutto presso le élites intellettuali ed economiche. Tra le amicizie di Krishnamurti negli anni successivi ci furono Huxley, John Barrymore, Stokowski, Greta Garbo, Thomas Mann, Charlie Chaplin, Anita Loos, Christopher Isherwood e G.B. Shaw; ma tra i sostenitori della Società c’erano anche molti generosi finanziatori delle sue iniziative. Krishna cominciò a girare il mondo e migliaia di persone affollavano i luoghi dove teneva i suoi discorsi, vegliato con orgoglio e fiducia dai suoi padrini, Annie Besant e Charles Leadbetter (il suo vero padre aveva invece rotto con lui e la Società dopo una brutta contesa giudiziaria sul suo affidamento, segnata d nuove accuse contro Leadbetter).
Ovunque andasse. Krishnamurti trovava ospitalità in castelli e palazzi e aveva modo di coltivare sempre più le sue raffinatezze: i luoghi delle sue tournées hanno nomi come Gstaad, Taormina, Parigi, Firenze. I giornali parlavano di lui, gli attribuivano fidanzate, e lo chiamavano “il messia in abito sportivo” e “la divinità in calzoni alla zuava”. Frequentò Hollywood e gli fu proposto di fare l’attore. Conobbe artisti e intellettuali. Fu il primo messia globale della storia: c’erano migliaia di persone a seguirlo ovunque, e in nuova Zelanda le autorità vietarono la trasmissione in radio dei suoi discorsi. In Costarica il presidente annunciò che il governo avrebbe obbedito al suo pensiero, fino a che una sommossa ispirata dai vertici cattolici non culminò nel rogo della sede locale della Società teosofica. All’Hollywood Bowl – quello dei Beatles at the Hollywood Bowl, più tardi – radunò sedicimila persone. Era indiano e inglese insieme, e viveva la maggior parte de tempo in California, in una valle dove veniva visitato da visioni e deliri che lo stremavano ma lo avvicinavano alla divinità.
Tre anni fa, dopo che ne avevo letto già molte cose, scrissi su Krishnamurti un articolo, che uscì su Diario, e di cui qui riprendo qualche cosa. “Mostrava una maturità e un distacco eterei, ma nel poco tempo che aveva si appassionava alle automobili e al golf. Aveva costruito una profonda conoscenza di se stesso e una dottrina di grande completezza, ma aveva mantenuto una grandissima ignoranza nei confronti di tutto quello che era la cultura intorno a lui (leggeva solo romanzi gialli). E dove lo trovava il tempo per imparare qualcos’altro? Quando non era in giro per il mondo a diffondere il suo pensiero, si recludeva in una casa della campagna californiana ed era abbattuto da periodi di devastanti crisi “magiche”: veniva bloccato a letto da dolori fortissimi e perdeva il contatto col mondo e con se stesso in una trance da cui si sentiva arricchito spiritualmente senza riuscire a ricordarne quasi niente, ma col risultato di terrorizzare e convincere della sua semidivinità chi gli stava vicino. Poi, nella sua calligrafia rotonda e femminile, cercava di ricostruirne le fasi. Il povero Krishnamurti faceva una vita d’inferno, ma il bello è che non gliene importava niente: la sua filosofia lo possedeva interamente. Ed era una filosofia che gli diceva di rinunciare a se stesso, di eliminare il passato e la memoria, che sono le fonti essenziali del dolore, di trovare Dio in ogni manifestazione che osservava”.
Forse la mia considerazione sulla perfezione di Krishnamurti vi è sembrata eccessiva, forse lo è. Ma era prematura, in effetti. La sua grandezza si doveva ancora manifestare del tutto. Questo avvenne nel 1929, al campo di Ommen in Olanda, dove i seguaci dell’Ordine della Stella – la congregazione di teosofi creata attorno alla sua figura – si riunivano ogni anno.
Krishnamurti aveva trentaquattr’anni. Suo fratello Nitya era morto, e al dolore della sua perdita si era sommato quello per la delusione nella protezione dei Maestri. Da qualche anno il suo ruolo aveva cominciato da andargli stretto, e si sentiva come se gli avessero cucito addosso un vestito di un’altra misura. Malgrado l’amore per Annie Besant, le regole, i cerimoniali, le pretese della teosofia non lo convincevano più. Il messaggio di amore e aspirazione alla perfezione erano ancora suoi, ma li sentiva gravati di troppe sovrastrutture. Negli ultimi tempi, in sua assenza, alcuni membri dell’Ordine della Stella avevano vantato dubbie iniziazioni mistiche e si erano attribuiti forti responsabilità religiose all’interno dell’ordine.
Così quell’estate a Ommen Krishna disse:
“a che serve avere dietro migliaia di persone che non ascoltano, imbalsamate nel pregiudizio, che non vogliono il nuovo ma preferiscono adattarlo al proprio sterile stagnante io? Dipendete da qualcun altro per la vostra spiritualità e la vostra felicità, e dovreste cercare dentro di voi. Quindi a che serve un’organizzazione?”
E po disse: “Ho deciso di sciogliere l’ordine. Voi potete creare altre organizzazioni e aspettare qualcun altro. Questo non è affar mio. La mia unica preoccupazione è che gli uomini siano assolutamente, incondizionatamente liberi. La verità è una terra senza sentieri”.
In pratica, si dimise da messia. Ve la dovete cavare da soli, disse. Io vi posso spiegare come ho fatto io, a trovare la grandezza di Dio dentro me stesso e in ogni cosa. Ma poi il lavoro dovete farlo voi, disse. “Voi non dovete elevarmi ad autorità, alcuni di voi mi pensano un’acqua miracolosa che vi renda liberi, ma non è così. La verità viene di soppiatto, quando meno ve l’aspettate. La liberazione non è per i pochi, i prescelti, gli eletti”.
Non smise mai più di dirle, queste cose. La Società collassò, privata del suo messia. Annie Besant, spaesata ma fedele al suo pupillo, morì qualche anno dopo. Leadbetter era andato in Australia a rifarsi una vita e una chiesa, e morì anche lui di lì a poco. Krishnamurti divenne il messaggero di se stesso. Aveva sciolto uno dei più diffusi fenomeni culturali di questo secolo: un po’ come fecero i Beatles, più tardi.
Continuò, con rinnovata bravura e convinzione, a predicare quello che aveva imparato, e continuo a raccogliere seguiti. Divenne un bellissimo vecchietto, acerrimo nemico delle chiese e delle religioni. “Nei decenni successivi il suo discorso si andò ancor più raffinando e sintetizzando. I cardini erano la liberazione dal pensiero sedimentato (“Dio è una nostra invenzione”), la perdita del legame col passato e la conseguente liberazione dal dolore, l’amore privo di condizioni nei confronti del prossimo, la consapevolezza di se stessi, l’inutilità di qualsiasi rito, studio e tecnica ai fini della crescita spirituale: la vera meditazione è “fare scoperte inattese e stupefacenti al proprio interno, non la formula ripetitiva del mantra, del respirare con regolarità, del sedere in una qualche postura” (Van Morrison poi dedicò a Krishnamurti una canzone e il titolo di un album, No guru, no method, no teacher ). E ancora il superamento della paura della morte, e di “tutta la tiritera della reincarnazione”. Ed era impressionante l’apparente completa aderenza della sua persona a questo pensiero, la sua capacità di svuotarsi e liberarsi di legami, ricordi, atteggiamenti. A quasi ottant’anni dava ancora l’impressione di “un essere del tutto straordinario, dai modi principeschi”.”
Morì il 17 febbraio 1986 e chiese che le sue ceneri fossero disperse, senza “un luogo sacro dove la gente va a venerare e tutto quell’orrore”.
In questi quattro anni ho letto molti libri su e di Krishnamurti: ma ci sono ancora molte cose di lui che non so. Adesso ho appena finito un libro americano uscito l’anno scorso, dove è ritratto anche in certe sue debolezze e difetti più umani: piccole cose, ma ne ho scoperta anche una straordinaria. Dovete sapere che tra I collaboratori di Krishnamurti c’era un fedele e capace amministratore degli affari della Società, dell’Ordine della Stella, e delle fondazioni che vennero dopo. Si chiamava Rajagopal. Rajagopal aveva sposato Rosalind Williams, una giovane seguace di Krishna che lo aveva assistito durante le sue dolorose visioni californiane. Malgrado la nascita della piccola Radha, il matrimonio non aveva funzionato, e i due si erano di fatto separati, pur continuando a figurare pubblicamente come marito e moglie. Rosalind era tornata ad accompagnare ed assistere Krishna nei suoi impegni. Aspettate un momento; avevo scritto in quel mio articolo di tre anni fa: “Si innamorò, una volta, di una giovane violinista americana diciassettenne, lui ne aveva ventisei. Ma una volta passata, il suo giovanile ed imbarazzato distacco dalle cose del sesso, si trasformò pian piano in un distacco maturo e riflettuto nell’ambito del suo stile di vita”
Beh, pare che la piccola Radha abbia pubblicato delle memorie, dieci anni fa. E che per la prima volta abbia raccontato una cosa che alcuni sapevano, ma era stata sempre taciuta. Krishna e Rosalind ebbero una lunga storia d’amore assieme. Una vera storia d’amore.
Quel che gli mancava a essere un uomo perfetto.