Cara Sabina Guzzanti

“Cara Sabina Guzzanti, ho dunque appreso, pressoché per caso, che col passare degli anni – moltissimi anni – ti sei formata un’opinione negativa sul mio conto, al punto di dedicarle un paragrafo del tuo spettacolo. Se fossi libero, verrei a teatro e ti interromperei, chiedendoti conto, non dell’opinione, ma degli strafalcioni coi quali la sostieni, coincidenti con quelli cari a Marco Travaglio, persona ai miei occhi repellente e vile, già fautore nei miei confronti di agguati, dai quali dovrei guardarmi “strisciando lungo i muri”: non so se anche quell’antico testo, del quale Travaglio si è dichiarato ancora poco fa fiero, sia entrato nel tuo copione. Siccome poi tu hai accolto il più volgare e mellifluo degli argomenti a mio carico, che contrappone la mobilitazione privilegiata di cui godo (con quali risultati, è evidente) all’indifferenza o peggio verso i detenuti anonimi, ti interromperei non per chiederti notizia del tuo impegno su carceri e carcerati oscuri, che è affar tuo, né per informarti del mio impegno su carceri e carcerati, prima volontario, poi obbligato, e durato una lunga vita, bensì per suggerirti la lettura di decine di scritti del tuo soggettista Travaglio ribollenti di disprezzo per i detenuti, di sarcasmo verso la licenziosità del sistema penale e penitenziario italiano, di scandalo per l’eventualità di qualsiasi misura di clemenza. Anche lì, contraffacendo dati di fatto e verità. Naturalmente mi dispiace di tutto ciò, perchè avevo chissà perché equivocato il tono delle nostre eventuali conversazioni passate e future. Se uscissi, verrei a interromperti dalla platea. E’ improbabile che succeda: peccato. Mi accontento intanto della piccola posta, e ti saluto. Adriano Sofri”

Il Foglio

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