Passata è la tempesta

Ormai è passata, e non riscriverò la rubrica dell’anno scorso sulla rapidità con cui il festival di Sanremo sparisce dalle nostre vite dopo averle così ingombrantemente occupate – volenti o nolenti – per una settimana. Mi limito ad auspicare che anche in questo caso l’iniziativa vincente di uno dei due poli televisivi sia imitata dall’altro, come accade ogni volta che qualcuno in tv si inventa un programma, un’idea, una tendenza di successo. E quindi, dopo che Mediaset ha deciso di non seguire Sanremo, quest’anno, si può sperare che la Rai si allinei e faccia la stessa cosa l’anno prossimo.

Ma no, non mi limito ad auspicare. Vorrei mettervi a parte di un importante contributo alla cultura – la mia – attribuibile al festival di Sanremo di quest’anno. Rapito dall’eccitante programma canoro – non particolarmente peggiore di quello degli anni scorsi, per carità – a un certo punto della terza serata mi sono chiesto: ma perché il teatroariston si chiama teatroariston? Cioè, perché le cucine Ariston si chiamano Ariston? Perché gli alberghi e i cinema di mezza italia si chiamano Ariston? E insomma, che vuol dire, “Ariston”?

Eccovi serviti, voi pochi lettori di questa rubrica che come me non avete fatto studi classici: Ariston viene dal greco, dove significava “il più nobile, il migliore”. Poi le cose sono andate in un’altra maniera.

Vanity Fair

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