Il pianista Giovanni Allevi

Giovanni Allevi è di Ascoli, ha 36 anni e ne dimostra dieci di meno. È alto, magro, gran riccioli in testa; mentre parla muove molto le mani e il resto di sé. È una specie di Jovanotti meno biondo, come tipo fisico. Jovanotti, quello vero, ha molto a che fare con la sua storia.

Due mattine alla settimana Allevi va a fare il supplente di musica in una scuola media di Santo Stefano Ticino, fuori Milano. Ma il mese scorso ha suonato il pianoforte al Blue Note di New York, probabilmente il luogo più leggendario dove si suoni il jazz. Anche se Allevi non è un musicista jazz.

No, io sono un pianista classico. Suono musica classica contemporanea. Ho fatto vent’anni di conservatorio.

Ad Ascoli?

No, a Perugia e a Milano. Sono figlio d’arte: mio padre insegna musica e suona il clarinetto e mia madre è cantante lirica.

Com’è andata, al Blue Note?

Un sogno. Ho fatto due concerti, tutto esaurito, grande successo. Pensa che la settimana prima aveva suonato Chick Corea. Sono uscito che camminavo a un metro da terra. Il tassista mi ha raccolto davanti al Blue Note e mi ha chiesto chi aveva suonato, e io gli ho risposto “io”. Ha voluto un autografo. Fantastico.

Non ti avevano mai chiesto un autografo?

Mai un tassista di New York. Una volta, dopo che avevo suonato con Jovanotti in un suo concerto, arrivarono da me delle ragazzine con le penne e i taccuini, e io ero eccitatissimo. Però mi chiesero se potevo far loro avere un autografo di Jovanotti. Quella volta decisi che dovevo cominciare a cavarmela da solo.

Quando fu?

Due anni fa.

E quanto eri stato con Jovanotti?

Sei anni. Lui è un genio, lo penso ora e lo pensavo quando gli scrissi e gli mandai un nastro delle mie cose.

Ma tu eri un pianista classico…

Ma lui era un genio. E infatti mi chiamò. Mi ha fatto suonare con lui e mi ha fatto fare due dischi miei.

Ti divertivi?

Mi emozionavo, ho suonato di fronte a ventimila persone: ma per me la musica non è divertimento. Sul palco si ballava, a me piace Beethoven. Con Lorenzo avevamo rivisto le canzoni per metterci il pianoforte dal vivo, e poi c’erano quelle che avevamo scritto assieme.

Tipo?

L’albero di mele, Trenta modi per salvare il mondo… Scusa, posso chiederti una cosa?

Dimmi…

Possiamo abbassare la musica? Se seguo la musica mi distraggo e perdo il filo di quello che dico.

Figurati, la spengo. Insomma, poi arrivarono le ragazzine con i taccuini…

Non fu solo quello: quando sei dentro una grande organizzazione com’era quella, ti abitui a pensare che le cose le facciano gli altri e che qualcosa succeda da sé. A un certo punto capii che dovevo farla succedere da me.

Come la presero?

Jovanotti bene: mi ha dato la sua benedizione ma mi ha detto di smettere di contare su di lui. Gli altri ci sono rimasti un po’ male.

E come hai fatto a far succedere delle cose?

Ho scritto a Bonolis.

Aspetta: tu fai vent’anni di conservatorio e poi le due persone che cerchi sono Jovanotti prima e Bonolis poi?

Esatto. Io vengo da una città di provincia dove non succede mai niente. Volevo dimostrarmi di poter entrare nei posti importanti.

Cioè Domenica In?

Volevo andare a Roma, e mi fidavo dell’intuito di Bonolis.

E lui?

Mi ha chiamato, e alla fine di una giornata di prove di Domenica In mi ha messo di fronte a un piano elettrico. Ma è andata via la corrente. Intorno c’erano in quel momento dei pezzi grossi della tv, a un certo punto ho visto anche Heather Parisi…

A’mbè…

Il mio mito! Io sono cresciuto sulle note di Disco Bambina

Il conservatorio non è come ce lo immaginiamo noi profani…

Comunque, mancava la corrente, mi si stava sgonfiando il soufflé, il destino stava decidendo per me…

E che ha deciso?

Di far tornare la luce. Ho suonato la mia composizione più estrema e dissonante: allora facevo cose molto ardite e concettuali.

E Bonolis che ha detto?

“Ma tu pensi veramente di suonare questa roba a Domenica In?”

Un uomo con i piedi per terra

Io gli ho spiegato che avevo voluto mostrargli qual era il mio mondo, e poi si poteva parlarne

E lui?

“Ok, domenica prossima vedi di suonare qualcosa di più accessibile”. Ho suonato in diretta a Domenica In tre minuti, dalle cinque alle cinque e tre. Lo share è anche salito.

Bella forza, chissà cosa c’era prima…

I più entusiasti erano i tecnici, sai quelli che lavorano lì da decenni e ne hanno viste di tutte? “Finalmente è tornato un pianoforte a Domenica In”, dicevano.

E al Blue Note guardano Domenica In?

No, non c’entra niente. Dopo, l’estate scorsa, ho deciso di andare a stare a New York per un po’, volevo capire la città, viverla. Ho trovato un monolocale a Harlem e andavo in giro. Quando già mi preparavo a tornare, ho preso il coraggio a due mani e ho scritto una mail…

… a Fiorello?

No, a Steven Bensusan, il boss del Blue Note. Ma avevo un indirizzo sbagliato, e non mi ha mai risposto. Allora ho chiamato e ho chiesto un appuntamento. Ero terrorizzato perché confondo i giorni della settimana in inglese, e avevo paura di capire il giorno sbagliato. Per fortuna mi hanno detto “tomorrow”. Sono andato, ho aspettato tutto il pomeriggio, ma lui non si è fatto vedere e sono tornato a casa.

Era meglio provare con Fiorello, vedi…

Il giorno dopo sono tornato e mi sono seduto di nuovo nello stesso posto, ad aspettare. A un certo punto Bensusan è arrivato e mi ha portato sul palco, davanti a un pianoforte. Ho suonato dieci minuti, e alla fine mi ha fissato un concerto, per il 6 marzo di quest’anno.

Certo che ci sai fare con la gente, tu…

Con i pianoforti.

E ora chi pensi di chiamare?

Dopo di te, non so. Suono a Palermo, al teatro Politeama, il 29 e il 30 aprile. E a giugno al Teatro nazionale di Hong Kong. Ho fatto un disco nuovo, diverso. Esce a maggio, si chiama “No concept”. Perché è un disco meno concettuale dei precedenti, più melodico, e perché mi piace mettere una negazione nel titolo, come Vittorini.

Vittorini?

“Uomini e no”. Lui abitava nel palazzo dove abito oggi, a Milano.

A tuo padre piace il disco nuovo?

Molto: ma fino ad oggi aveva sempre dato giudizi pesantissimi sulle cose che facevo. A lui piace Wagner. Questo gli piace perché è un disco legato a un pensiero austero, rigoroso. Sant’Agostino, Tommaso D’Aquino: niente a che fare con la new age.

Anche Ludovico Einaudi mi ha detto che non vuole essere avvicinato alla New Age.

A Ludovico Einaudi, stima a parte, io sono immensamente grato. Grazie a lui la musica contemporanea per pianoforte è diventata accessibile, richiesta, venduta.

Gli hai mai telefonato?

No. A lui no.

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