Cocco fresco

Credo di stare per confessare un reato. Non sono sicuro. In realtà il reato l’ha eventualmente compiuto mia moglie (ecco, così me la cavo): è lei che ha comprato dal signore africano in spiaggia i quattro cd taroccati del Festivalbar. Dice che se sentiamo sempre solo buona musica elitaria perdiamo contatto con la realtà: dove si definisce realtà “Angelicaaaa” o “Tanto tanto tanto tanto tonto”. Ma a parte le vergognose sindromi morettiane indotte da simili ascolti, ho pensato che le “compilation” – stupido termine apparso a un certo punto per definire uno stupido prodotto – sono forse la forma discografica che più si merita il taroccamento. A differenza dei dischi veri – che uno magari vuole veri, ben fatti, da conservare – la compilation nasce volatile, usa e getta, brutta da vedersi, discontinua. Dopo l’estate, si butta. Il signore africano li vendeva tutti e quattro a venti euro. Anche troppo.

Vanity Fair

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