Digli di smettere

Bisognerebbe cominciare a parlare dei danni indotti dalla televisione passiva. Ho appena messo a nanna mia figlia: prima le racconto una storia, poi le canto La leggenda del Piave, e poi stiamo in silenzio ad ascoltare Porta a porta dall’appartamento dei vicini di sopra fino a che lei non si addormenta. A volte ci vuole parecchio: all’ingresso di ogni nuovo ospite, lei si riscuote dall’appisolamento e ripete “dindòn”. Questo le volte che fa tardi, per qualche motivo. Altrimenti, ci sorbiamo delle fiction poliziesche con gran litigi e alcune sparatorie.

Quando ero ragazzo, la signora che abitava sopra di noi guardava il Maurizio Costanzo Show a un volume tale che i gatti in strada cominciavano a miagolare di rimando. Dev’essere quello che chiamano “i danni dell’auditel”. Adesso a Roma ci sono dei taxi che non fai in tempo a sederti e ti si dispiega in faccia un monitor su cui passano delle cose la cui caoticità è tale che non saprei nemmeno citarvene una. Non mi ricordo più. Per non parlare della programmazione sugli schermi nelle stazioni della metropolitana. Che roba è? Che il futuro sia schermi ovunque, passi: ma che almeno trasmettano qualcosa di bello.

Dicono che presto la nostra visione dei programmi tv sarà indipendente dai tempi dei palinsesti: che sceglieremo noi quando vedere le cose che vogliamo, scaricandole da internet, o registrandole sugli hard disk appositi. Per ora, la maggior parte della televisione che vedo, o ascolto, non posso neanche spegnerla

Vanity Fair

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