Re: No subject, anziano

“Caro Eugenio Scalfari, poichè tengo in gran conto la tua opinione, ti chiedo, con angoscia, di voler considerare la mia. Voglio dare per certa l’interpretazione che tu (e altri, non altrettanto disinteressati) dai dell’eventuale accordo sull’indulto: che cioè esso sia reso possibile solo dal cedimento del centrosinistra, obiettori a parte, a un ricatto di Forza Italia, la quale, senza l’inclusione nell’indulto dei reati di corruzione e concussione, farebbe mancare il proprio consenso, dunque la maggioranza dei due terzi incautamente fissata per le misure di clemenza. Voglio dare per certo che questo ricatto abbia al centro la persona di Cesare Previti. Ecco i miei argomenti, che chiamerò, per una volta, di emergenza.

Comincio da Previti. Costui non è in galera, nè metterà mai più piede in una cella di carcere. Una legge per lui ormai irreversibile lo ha assegnato alla detenzione domiciliare. Anche quando l’ulteriore condanna per le “toghe sporche” fosse confermata dalla Cassazione e diventasse definitiva, cumulandosi con quella per l’Imi-Sir, Previti resterebbe detenuto a domicilio. Viceversa, l’indulto di tre anni avvicinerebbe per lui, benché non necessariamente di molto, la prospettiva dell’affidamento in prova ai servizi sociali. Questo è il rischio massimo dell’indulto sul destino personale di Previti. Se poi si insista soprattutto sulla trasformazione della persona di Previti in un simbolo, e sull’oltraggio simbolico che la sua inclusione nell’indulto arrecherebbe allo spirito pubblico di giustizia e al rigore dello Stato, mi sembra che il punto fosse nei processi, ben più che nelle loro conseguenze carcerarie. E l’indulto, com’è noto, a differenza dall’amnistia, non estingue i reati, incidendo solo sulla pena. Detto questo, su un piatto della bilancia sta l’eventuale modificazione nella posizione corporale di Cesare Previti che ho ricapitolato, sull’altro piatto la condizione disumana di migliaia e migliaia di altre persone, che sarebbe alleviata da una misura di clemenza mancata da più di quindici anni, continuamente invocata, ogni volta manipolata e frustrata. Ammesso il ricatto, l’estorsione e qualunque altro nome ignobile si voglia trovare all’accordo sull’indulto, ti sembra che la bilancia possa cedere dal lato del rifiuto, o anche solo stare in equilibrio? La faccia di Previti è assai nota. Ti prego di voler immaginare, voler vedere le migliaia e migliaia di facce di persone chiuse nelle nostre celle, in questa nostra stagione. Si è detto che i condannati per reati finanziari che sarebbero coinvolti nell’indulto sono in totale 67 persone, dunque non inciderebbero affatto sulla questione del sovraffollamento. (Bella parola: superlativo di un superlativo). Argomento in realtà da capovolgere. Perché, se è vero che un ricatto simile da parte di Forza Italia esistesse, avremmo su un piatto della bilancia l’inclusione di 67 persone in uno sconto di pena, sull’altro l’esclusione di decine di migliaia. Poiché il tuo intervento (straordinario, come mostra il giorno in cui hai deciso di scrivere) non è dettato, come troppi altri, dalle cosiddette “ragioni di visibilità” nè da privati narcisismi, ti chiedo di voler ripensare al problema, in nome dell’umanità, se vuoi della più amara umanità.” Adriano Sofri.

“Caro Adriano Sofri ti ringrazio della lettera e delle parole amichevoli che vi sono contenute, ma soprattutto del tema che è al centro del tuo scritto e della sollecitudine verso le tante persone le cui sofferenze meritano attenzione e considerazione.

Credo tu sappia, perché conosci il mio modo di pensare, che lo spirito che ti anima non mi è affatto estraneo ed anzi è da me interamente condiviso. Sono stato e sono favorevole all’amnistia, sono stato e sono favorevole all’indulto. Anche nel mio articolo di ieri cui la tua lettera si riferisce queste mie posizioni erano esplicitamente riaffermate.

Ho citato il caso Previti come simbolo di un problema ma non ho alcuna ossessione reclusoria nei suoi confronti, anche se mi stupisce e mi indigna vedere che proprio le forze politiche che più si sono battute per la “certezza della pena” e su questo punto hanno alimentato una campagna elettorale i cui toni demagogici hanno toccato punte parossistiche, oggi buttano allegramente a mare quella certezza facendo però ricadere la responsabilità propositiva proprio su quanti sono stati da loro indicati come i fautori delle pene “incerte e inadeguate”.

Comunque se toccasse a me di decidere – e per fortuna non mi tocca – chiuderei certamente gli occhi sui casi personali, pur se estremamente simbolici. Le ragioni delle mie critiche all’indulto mastelliano sono altre. Anzi è un’altra: ogni provvedimento di clemenza contiene sempre qualche eccezione in ragione della gravità del reato che non è tuttavia immutabile ma cambia col cambiare dell’etica pubblica. Un’amnistia o un indulto, tanto per fare un esempio, fino ad alcuni anni fa non avrebbe escluso i reati di stupro e di violenza contro le donne, non avrebbe escluso il terrorismo (quando ancora non c’era) e non avrebbe escluso i reati di mafia (che per molta parte degli italiani e della classe dirigente era un’invenzione letteraria).

Nell’Italia repubblicana i reati di corruzione e di concussione contro lo Stato e i reati finanziari gravi non hanno mai beneficiato di provvedimenti di clemenza penale. Qualche strappo si è cominciato a vedere in occasione di alcuni condoni di Tremonti, ma sempre ben nascosto e camuffato. Ora invece non 67 o 388 persone godranno della riduzione della pena, ma un’intera categoria di crimini sarà di fatto derubricata a reato minore, reato passibile di pene alternative e insomma reato – di fatto – in via di estinzione. Riguarderà, tanto per dire, il caso Parmalat e gli altri analoghi, i falsi in bilancio già in buona misura usciti dalla giurisdizione penale. A non parlare delle truffe sul calcio. Siamo insomma di fronte ad una grave involuzione nella legislazione criminale, che si colloca in controtendenza con quanto avviene negli Stati Uniti d’America. Noi diamo l’indulto a corrotti e corruttori, lì i responsabili del crack Enron vanno in galera per decine di anni.

Questo dunque il punto, caro Adriano. E per questo l’impuntatura di Antonio Di Pietro ha un valore che forse è maggiore della persona che si è impuntata. Senza quell’impuntatura la questione di cui sto qui parlando non sarebbe neppure stata discussa e portata a livello della pubblica opinione.

Voglio farti una domanda, caro Adriano. Se per ottenere la necessaria maggioranza qualificata in Parlamento fosse necessario essere clementi con i pedofili o con gli stupratori, tu che faresti? Non sarebbe un “vulnus” assai grave all’etica pubblica? E non ha la stessa gravità graziare o alleggerire la pena per chi ha ridotto lo Stato ad una stalla utilizzando le istituzioni pubbliche come la propria vigna privata? Io avrei fatto diversamente: avrei dato l’indulto e anzi l’amnistia a tutti i reati con pene edittali sotto ai tre anni e basta. Ciò detto, fatelo questo indulto. Ma poi non venite più a discutere sul deficit di moralità pubblica che ci vede purtroppo agli ultimi posti nel mondo delle democrazie.” Eugenio Scalfari.

Repubblica

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