Mandanti morali

Ho questa vecchia discussione con un mio amico, se la televisione debba avere un ruolo pedagogico nei confronti del pubblico: ovvero, in poche parole, se chi fa la televisione debba proporsi l’obiettivo di rendere migliori le persone che la guardano o solo di renderle più contente. Il mio amico ci lavora, in televisione, e benché le cose che fa siano spesso dignitose e anche in effetti “educative”, rifiuta questo ruolo. La buona televisione, dice, è quella fatta bene: rispetto a questo, un buon reality vale una buona inchiesta e una cattiva inchiesta non è meglio di un cattivo reality. Lo infastidiscono i moralismi superficiali che circolano spesso, sulla televisione che sarebbe brutta e disdicevole di per sé e su quelli che se ne lamentano eppure poi guardano i reality e le inchieste no. Io gli dico che ogni cosa che facciamo dovrebbe cercare di migliorare il prossimo, in ogni campo. E che la tv non faccia eccezione. Ci ripensavo guardando in questi giorni i canali americani dove per buona parte quel popolo è trattato come un popolo di coglioni, e mi chiedevo se la nostra tv non suggerisca la stessa immagine degli italiani. Qualche maligno potrebbe suggerire che l’immagine sia corretta, nell’uno o nell’altro caso, ma proprio qui sta il punto. Se l’opinione che il pubblico sia di gusti mediocri (probabilmente per colpa tua, e malgrado i bla bla ipocriti su “la gente non è stupida”) debba consigliarti a nutrirlo di sciocchezze – ben fatte, per carità – o a cercare di renderlo meno mediocre. Anche la prima scelta è legittima, ma coloro che la fanno si lavano le mani colpevolmente della loro parte di opportunità di migliorare le persone, se stesse, e il mondo: e non abbinoa poi il coraggio di lamentarsi dell’evasione fiscale, delle cacche dei cani o dei furti negli aeroporti. I mandanti sono loro

Vanity Fair

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