Ho sognato un televisore

Ho comprato questo televisore. È piatto, come molti di quelli in commercio, e si vede molto bene. È anche bello, un bel design caldo, non il solito noioso nero-barra-titanio tutto spigoli. Lo si può appendere alla parte per risparmiare spazio senza doverlo appoggiare a quegli orrendi trespoli che mantengono l’effetto totem-in-soggiorno dei vecchi apparecchi. Riceve i canali televisivi via wi-fi dal computer, quindi non ci sono cavi di antenne varie in giro. Per l’alimentazione, ho chiamato un elettricista che scavasse una piccola deviazione alla traccia della corrente in modo che la presa sia nascosta nel muro alle spalle dello schermo. Stucco, due pennellate di bianco, e oplà. Il mio nuovo televisore ha un telecomando solo, che serve per tutti canali, satellitari e terrestri: i canali sono in ordine, uno per ogni numero: all’uno c’è RaiUno, al due c’è RaiDue e così via. Se voglio spostarli, bastano due clic sul telecomando, e poi restano dove li ho messi. Per dire: non c’è niente sul numero 677 o 890. E quando cambio canale, il passaggio avviene immediatamente, senza una pausa interminabile di un secondo. Per usare il lettore DVD del computer, collegato allo schermo, ho lo stesso telecomando. Per alzare il volume, anche. Nello spazio una volta occupato dai quattro telecomandi precedenti ho messo sul tavolino del soggiorno un bel vaso da fiori. E quando spengo la tv, non si accende nessuna stupida lucina di stand-by. Son proprio contento.

(Macchè, dannazione: siamo nel 2007, e come tutti voi ho un apparecchio triste e grigio, un decoder, un lettore DVD, un videoregistratore, mille cavi, i soliti quattro telecomandi, il totem, i canali sparpagliati e immemorabili, le pause nello zapping e un’interfaccia dei satellitari che pare fatta alla NASA nel ’66. Poi dice perché guardi i film sull’iPod)

Vanity Fair

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