“Ma perché non siamo nati tutti finocchi?”

Facciamo un inventario sommario. Nell’ultimo anno sono tornati assieme i Who (in realtà due di loro: gli altri due erano morti) e hanno fatto un bel disco. Si sono rimessi in tournée i Genesis, ma Peter Gabriel – che sarebbe stata la vera notizia – alla fine ha rinunciato e quindi sono in realtà il terzetto che aveva agonizzato fino all’inizio degli anni Novanta. I Police si sono appena ripresentati assieme alla serata dei Grammys, e nessuno ci avrebbe scommesso un dollaro, viste le tensioni con cui si erano lasciati più di vent’anni fa. David Lee Roth era tornato con i Van Halen, ma poi tutto è stato sospeso. Si è parlato anche di un ritorno dei Led Zeppelin, ma era una balla.

Molte band hanno un percorso simile: all’apice del successo o litigano o qualcuno pensa di cavarsela da solo. A volte ce la fa, a volte no. Di solito i soldi non sono un problema: se non fai troppe fesserie, quelli arrivano sempre. Però gli anni passano e a un certo punto torna la voglia di fare notizia e di essere accolti come quelli di un tempo. Con le bands degli anni Settanta la notizia fa il botto, ma c’è stato anche il giro degli Ottanta (i Duran Duran, la spettacolare reunion dei Madness a Wembley, i Tears for Fears: e si annunciano i Wham e persino gli ingestibili Guns’n’Roses) e persino dei Novanta, col recente ritorno dei Take That senza Robbie Williams che sta benissimo da solo.

Quasi nessuna di queste riapparizioni lascia il segno nella storia del rock: si portano a casa un sacco di soldi e ci si diverte ancora un po’. Ma per entrambe le cose, i maestri sono quelli che non hanno mai avuto bisogno di tornare assieme perché non si erano mai sciolti: Rolling Stones e U2.

Gazzetta dello Sport

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