La Campbell

Le foto di Naomi Campbell che scende dal SUV guidato da un autista e se ne va sui tacchi (ma con le scarpe da lavoro in spalla) a scontare la pena per aver aggredito la sua cameriera – una settimana di pulizie presso un edificio pubblico – hanno avuto un successo mediatico straordinario e prevedibile. C’è dentro tutto quello che può affascinare ogni tipo di lettore o spettatore, e mille storie in una.

Tra le ultime, ma ben venga anche questo modo di pensarci, c’è la questione del senso della pena. Qualcuno, anche in Italia, pensa ancora che la pena debba servire principalmente a punire il condannato, che “deve pagare”. In realtà le funzioni della pena in una società progredita e serena dovrebbero essere unicamente conservative per la società stessa: ottenere che le persone siano meno inclini a ripetere il reato una volta scontata la pena, e che le persone pericolose siano messe in condizione di non nuocere. I desideri di vendetta e punizione sono umani, ma non devono ostacolare il buon funzionamento di una società, né diventare criteri di giudizio.

Oggi in Italia si usa quasi unicamente il carcere per assolvere alle due funzioni, anche per reati minori. La prima ovviamente fallisce, e anzi si rivolta: il carcere fabbrica delinquenti, invece di scoraggiarli, e tutti paghiamo in soldi questo risultato (e taciamo della particolare disumanità delle carceri italiane). La seconda ovviamente riesce: anche se riguarderebbe solo una percentuale esigua dei detenuti. Provate a pensare a una ragione sensata per mettere Naomi in prigione.

L’idea di far lavorare i condannati a favore della comunità è una bella e semplice idea, che gli americani usano, anche se non abbastanza. Prevede una sorta di contrappasso educativo nei confronti dei colpevoli, e restituisce agli altri qualcosa di meglio di un’inutile soddisfazione del dolore altrui.

In Italia però non si fa, o si fa pochissimo attraverso la formula poco concreta dell’affidamento ai servizi sociali. Chissà che la vista di Naomi non stimoli qualche legislatore.

Gazzetta dello Sport

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