And so it is

Ieri sera Damien Rice ha suonato al Conservatorio di Milano. Biglietti esauriti da mesi, sala strapiena – 1600 posti – bagarini fuori. Sembrava una lezione al Politecnico, tanto era coetaneo e omogeneo il pubblico. Mettici la bellezza della sala, e l’acustica perfetta, e il contesto era formidabile.

Tanto che i Magic Numbers hanno praticamente rubato la scena a Rice, suonando avvolti nel buio (è che non sono proprio bellissimi, hanno commentato i maligni), ma scatenando tutti: evidentemente c’era una cospicua percentuale di loro fans.

Poi Rice, che ha approfittato della situazione (la prima volta a Milano aveva suonato in uno scantinato da rocker, stavolta tra i legni e le volte fonodinamiche della sala Verdi) per fare Cannonball senza nessuna amplificazione, e lo si sentiva fino in fondo alla sala. Dopo, o sono io che lo sentivo per la terza volta, o lui non è esattamente un animale da palcoscenico (un prolisso ed esitante raccontatore, però), o le sue pose da posseduto e le progressioni da baccano rock stanno diventando troppo invadenti, insomma non è che sia stato la fine del mondo. Mi sono divertito di più con i Magic Numbers. Comunque ha suonato quasi due ore, e The blower’s daughter l’ha fatta

(dimenticavo: grazie alla rò e alla lò)

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