Ieri il Times ha ricordato a Martin Sorrell la campagna di Russia, se davvero ama tanto paragonarsi con Napoleone. La piccola campagna di Russia dell’uomo più potente e temuto del mondo della pubblicità mondiale si è conclusa però dentro casa, tre giorni fa, nei corridoi delle austere aule dell’Alta Corte di Giustizia di Londra. E con accenti e ragioni che a prima vista suonano assai meno eroici di quelli dell’Imperatore.
Settlement: questa è la parola. Il padrone di WPP, una delle “big four” dell’advertising mondiale, ha accettato un settlement, un accordo, una transazione, per concludere la causa per diffamazione che lui stesso aveva intentato ai danni di due imprenditori italiani, Marco Benatti e Marco Tinelli. Oppure l’ha ottenuto, questo settlement? Uffici stampa e spin doctors delle due parti lavorano da tre giorni per dimostrare di aver portato a casa una vittoria, ma il commento del Times di ieri ha di fatto chiuso la partita della comunicazione a favore degli italiani, che pure hanno dovuto sborsare dei soldi e firmare una dichiarazione di rammarico per quello che è successo.
E cosa era successo? Qui la storia diventa magnetica e indiscreta anche per il pubblico che di Sorrell e Benatti non immagina minimamente ricchezze e poteri, e a cui importa assai poco dell’altra grande guerra giudiziaria che i due si combatteranno sui modi della loro rottura imprenditoriale (segue)
Il Foglio