Piero Fassino, i cui saggi e coraggiosi ripensamenti vengono a volte presi in giro dal Foglio, torna sulla questione del “partito della fermezza” ai tempi di Aldo Moro
Oggi sono meno sicuro. Non sta scritto, infatti, che una trattativa per salvare una vita umana debba necessariamente comportare la resa alle ragioni di chi a quella vita attenta. Non credo affatto che se avessimo ottenuto la liberazione di Moro, la nostra lotta al terrorismo sarebbe diventata poi meno intransigente. Né credo che sarebbe aumentato il consenso verso i terroristi. E, insieme alla vita di un uomo, avremmo forse anche salvato la Repubblica da una lacerazione politica e istituzionale che negli anni successivi avrebbe prodotto conseguenze dirompenti. In guerra — e quella con il terrorismo era una vera guerra — lo scambio di prigionieri è procedura contemplata e a cui si ricorre senza che nessuno dei contendenti rinunci alle proprie ragioni e riduca la propria determinazione nel conflitto. D’altra parte vorrà pure dir qualcosa che, dopo l’epilogo tragico della vicenda Moro, per tutti i rapimenti successivi — dal giudice D’Urso all’assessore Cirillo — si sia adottata una linea assai più flessibile, puntando alla liberazione con il ricorso a trattative o a intermediazioni.