Pilato

È vero che sul ragazzo suicidato perché gli davano del gay si sono dette parecchie fesserie. Ma è anche vero che tutti si eccitano di più a discutere delle suddette fesserie e a dirne altre che ad affrontare il merito della storia.

Il merito della storia è semplice e sgradevole, e non piace a nessuno e quindi molti vogliono a rimuoverlo: ed è che se è vero che i ragazzini perfidi e incoscienti sono sempre esistiti ed esisteranno sempre, è anche vero che si possono proteggere più o meno le loro vittime. Il ragazzino di Torino non si è ucciso per una sua depressione come un’altra: si è ucciso perché aveva qualcosa di effemminato e gli davano del gay per fargli male, e perché questo faceva male anche a lui. In una società in cui avere qualcosa di effemminato non generasse prese in giro, né dolori personali, il ragazzino non si sarebbe suicidato. Quelli che dicono che succede in tutte le scuole d’Italia e altri ragazzini non si uccidono sono sciocchi o pavidi: è come dire che siccome alcuni sopravvivono all’essere investiti da una macchina, quelli che muoiono se la sono cercata. È come dire che ogni volta che qualcuno si uccide non ci si poteva fare niente. È una coda di paglia diffusa che genera la dichiarazione di irresponsabilità (a cui in questo caso si somma un tic omofobo per cui il bambino non è già più un bambino come gli alltri: i suoi carnefici da qualcuno avranno preso).

Invece è abbastanza facile immaginare una società in cui se somigli a Jonathan del Grande Fratello questo non diventi una ragione perché tu venga perseguitato in un’età così delicata e indifesa. Una società in cui somigliare a Jonathan non sia diverso da somigliare a Taricone. E nessuno è mai stato vessato perché somigliava a Taricone.

Ecco, se quella società è possibile – ed è possibile, come oggi sono possibili società in cui si può essere neri, donne, o altre minoranze senza per questo pensare al suicidio – quella società deve essere il nostro modello, fosse anche soltanto per salvare la vita di un solo ragazzo di Torino.

E se invece la società in cui viviamo ospita in alcune sue importanti e ascoltate istituzioni – laiche e religiose – persone che rinnovano l’idea che somigliare a Jonathan sia una cosa di cui vergognarsi, questa società sta andando da un’altra parte e non si deve meravigliare quando succede quello che è successo.

Con questo non voglio dire che la responsabilità della morte di Matteo cada sulle spalle di monsignor Bagnasco o della senatrice Binetti o di tutti quelli che dipingono l’omosessualità come una cosa vergognosa: sarebbe facile e vigliacco, e una sciocchezza. La storia dei cattivi maestri è sempre stata una scorciatoia stupida e superficiale per capire le cose: le persone sono già responsabili delle loro parole, e dovrebbe bastare. Ma di certo su molte spalle cade la responsabilità di fare che questo non avvenga più, e alcune spalle si scansano

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